Pubblicato nel giugno 2021, per i tipi delle Edizioni Verdechiaro, REGINA – 2 ottobre non si dimentica, capolavoro della letteratura messicana e opera principale del Maestro Antonio Velasco Piña, che ha lasciato il corpo nel dicembre 2020 all’età di 85 anni. Purtroppo non ha fatto in tempo a vedere il suo libro più famoso pubblicato in Italia…

Fu nel marzo del 2012, fatidico anno della Fine del Ciclo preconizzato dai Maya – poi maldestramente mistificato e svenduto dai professionisti della disinformazione televisiva come la Fine del Mondo – che, durante una cena nello storico ristorante Sanborn de los Azulejos di Città del Messico, Alberto Ruz Buenfil mi nominò per la prima volta il licenciado Don Antonio. Sorseggiando il suo aperitivo, disse: “Per me i maestri sono due: José Argüelles e Don Antonio Velasco Piña”.

Fig: 1: Antonio Giacchetti, Alberto Ruz Buenfil e Thomas Torelli

Essendo il primo dei due anche il mio maestro, che aveva lasciato il corpo solo un anno prima, l’affermazione del Coyote Alberto mi colpì, e gli chiesi lumi sul suo altro maestro; lui mi disse che si trattava dell’autore di REGINA – 2 ottobre non si dimentica, meravigliandosi che non lo conoscessi. Il giorno dopo mi misi alla ricerca del libro, e dopo aver visitato inutilmente tre librerie, finalmente lo trovai.

Il luogo in cui venni a conoscenza del testo e del suo autore non è esattamente un ristorante qualsiasi: si tratta di un edificio in stile coloniale nel centro storico della capitale messicana, che deve il suo nome al fatto che le sue facciate sono ricoperte di bei mosaici di fine ceramica dalle diverse sfumature di colore azzurro.

Fig: 2: Casa de los Azulejos, ca. 1737, Città del Messico; fonte: Wikicommons.

Agli inizi del secolo la Casa de los Azulejos fu trasformata in ristorante, il primo anello di quella che in seguito sarebbe diventata la popolare catena Sanborns.

Al suo interno si possono ammirare i murales realizzati da artisti rinomati, tra cui José Clemente Orozco, considerato insieme a Diego Rivera il principe dei muralistas messicani.

Fig: 3: Omnisciencia, 1925, dettaglio del Murale di José Clemente Orozco nella Casa de los Azulejos; fonte: Wikicommons.

Sebbene, come dice testualmente lo stesso Velasco Piña, “la qualità del cibo non è mai stata eccellente”, l’atmosfera del ristorante è affascinante: all’arrivo si è accolti da un azzimato e imbrillantinato receptionist, e nell’attesa dell’assegnazione del tavolo si può ammirare, tra le altre, la storica foto che ritrae nientemeno che Emiliano Zapata e Pancho Villa che, con tanto di cartucciere in spalla, sorseggiano un tè seduti a un tavolo del ristorante, circondati da luogotenenti. Era il 1914, le armate rivoluzionarie erano arrivate a Città del Messico: la Revolución aveva trionfato.

A tutto questo va aggiunto un ulteriore elemento di interesse, relativo ai ricorrenti episodi di avvistamenti di fantasmi e misteriose presenze nello storico edificio…

Le cameriere vestono un elaborato costume, completo di cappellino con tanto di visiera ricamata; insieme alle alte volte, ai grandi lampadari e ai murales, creano un’atmosfera che riporta indietro nel tempo, quando i tavoli del ristorante erano occupati a ogni ora del giorno da una clientela che beveva caffè e discuteva animatamente di politica nazionale e internazionale.

A tutto questo va aggiunto un ulteriore elemento di interesse, relativo ai ricorrenti episodi di avvistamenti di fantasmi e misteriose presenze nello storico edificio: durante i lavori di costruzione, nei primi anni del secolo scorso, i muratori raccontavano di aver visto un’ombra scendere le scale, per poi svanire. In epoca più recente, è apparso perfino un video in cui si può osservare una presenza spettrale aggirarsi nell’edificio, situato nell’antico quartiere La Llorona (la piagnona), misterioso personaggio leggendario cantato in una delle ballate più belle e struggenti della tradizione messicana; anche lei viene descritta come un fantasma, che terrorizza la gente del luogo col suo pianto angosciante per poi svanire all’improvviso. (https://inexplicata.blogspot.com/2013/11/a-quiver-of-ghosts.html)

Alla cena era presente anche Thomas Torelli, regista romano che in quell’occasione conobbe Alberto Ruz Buenfil, il quale oltre ad essere nipote di Fidel Castro è anche figlio dell’archeologo che scoprì la favolosa tomba di Pacal Votan nei sotterranei della Piramide delle Iscrizioni a Palenque, in Messico – considerata la più importante scoperta archeologica di tutti i tempi insieme alla scoperta della tomba di Tutankamon, in Egitto. Insomma non esattamente un luogo qualunque, e nemmeno persone qualunque…

Quando le sincronicità si moltiplicano intrecciandosi, il destino sta preparando qualcosa di importante; infatti quell’incontro apparentemente mondano e spensierato è stato foriero di realizzazioni fuori dal comune…

Quando le sincronicità si moltiplicano intrecciandosi, il destino sta preparando qualcosa di importante; infatti quell’incontro apparentemente mondano e spensierato è stato foriero di realizzazioni fuori dal comune: Thomas Torelli andò in seguito in Spagna appositamente per intervistare Alberto Ruz Buenfil e includere quelle immagini (e anche le mie, realizzate nello stesso viaggio in Messico) nel suo fortunato docu-film Un Altro Mondo, pluripremiato anche all’estero e record di vendite in Italia. E oggi, a nove anni di distanza, vede finalmente la luce l’edizione italiana di REGINA.


Le sincronicità, magistralmente illustrate da C. G. Jung nella sua introduzione allo I Ching, quintessenza della cosmovisione taoista, sono sempre tutto intorno a noi, dal mattino alla sera – e anche di notte. Sono foriere di messaggi, impressioni, suggestioni, tracce: ma per riconoscerle, seguirle e lasciarci guidare da esse è necessario avere le antenne bene aperte; altrimenti le liquidiamo come coincidenze, combinazioni, caso.

Dunque tutto questo succedeva nel magico 2012, anno in cui il mio maestro José Argüelles aveva individuato la data della Fine del Ciclo nel suo capolavoro Il Fattore Maya. Al di là delle deliberate, fuorvianti mistificazioni dei professionisti della ridefinizione della realtà, nella sua interpretazione quel punto del tempo segnalava la transizione biosfera-noosfera.

Il primo a parlarci della noosfera fu Teilhard de Chardin, visionario gesuita che era al tempo stesso paleontologo e teologo, cioè scienziato e mistico. Con il termine noosfera indicava l’unione mentale del pianeta, concetto che per i suoi tempi era talmente nuovo che c’è voluto un altro mezzo secolo perché se ne tornasse a parlare. Argüelles, che se ne incaricò, faceva notare che la noosfera è sempre esistita, esattamente come la biosfera; quella che è cambiata non è la biosfera o la noosfera – è la nostra coscienza collettiva.

In altri termini, la biosfera in quanto somma di tutta la vita biologica sulla Terra esiste da sempre; ma prima che Lovelock scrivesse L’ipotesi Gaia, nel 1969, non eravamo consapevoli, a livello collettivo, della sua esistenza. Allo stesso modo la noosfera, somma di tutta la produzione mentale del pianeta, è sempre esistita, ma il nostro livello di evoluzione spirituale collettiva sta appena ora incominciando a contemplarne l’esistenza. Un passaggio epocale, un balzo della coscienza planetaria di cui Argüelles individuava le coordinate nel tempo in corrispondenza della fatidica data indicataci dai Maya.

Fig. 6: Mandala Galattico; fonte: http://ashtalan.blogspot.com

Questa cospirazione sincronica, propiziata da un viaggio in Messico alla vigilia della transizione verso la noosfera, ha generato una serie di formidabili manifestazioni, di cui la pubblicazione dell’edizione italiana di Regina non è che l’ultima. Certamente, se c’è un minimo comune denominatore tra i due libri che ho tradotto, a distanza di più di vent’anni, è il Messico.

Altrettanto certa è la caratteristica che mi differenzia dagli altri traduttori, cioè che sono io a scegliere i libri che gli italiani devono poter leggere. La lettura di Regina mi convinse che dovevo mettermi al lavoro e a distanza di qualche anno l’incontro con l’autore, sempre a Città del Messico, propiziò il suo incarico di tradurre in italiano non solo Regina, ma tutti i suoi libri – una ventina…

Le sincronicità, sempre in agguato, hanno poi prodotto i sei mesi di confinamento forzoso che hanno messo a mia disposizione il tempo necessario per l’opera. E mi hanno permesso di comprendere innanzitutto le ragioni per cui il libro è pressoché sconosciuto in tutta l’America Latina e perfino nello stesso Messico – cosa inspiegabile per un capolavoro simile – e poi, poco più di due anni fa, cosa ha fatto sì che la situazione si sbloccasse.

Il motivo per cui sono in pochi a conoscere Regina è presto detto. Il libro è un impietoso atto d’accusa nei confronti dell’establishment messicano: governo, polizia, esercito, partiti, sindacati operai e studenteschi, mezzi di informazione, praticamente tutto il sistema ne esce distrutto, messo a nudo in tutta la sua ferocia, disonestà, perfidia, inettitudine, corruzione, servilismo, indegnità – piaghe secolari del Paese.

Non mancano altri che non ne escono bene: gli USA, da sempre predatori delle ricchezze del Messico – e specialmente i loro servizi segreti, che minacciarono di intervenire direttamente se non fosse stato risolto in maniera definitiva il conflitto sociale che nel 1968 aveva assunto proporzioni gigantesche, con le settecentomila persone che presero parte all’ultima manifestazione prima della mattanza.

Anche il governo cinese non ci fa una bella figura, considerato che la prima parte delle vicende narrate si svolge tra il Tibet e la Cina, compresa l’invasione del 1959 e l’internamento della protagonista in uno dei famigerati campi di rieducazione che sono tornati alla ribalta recentemente…

L’ultimo capitolo del libro racconta senza censure l’infame preparazione ed esecuzione del massacro della Plaza de las Tre Culturas, il 2 ottobre 1968 a Città del Messico, nel quale trovò la morte un numero imprecisato di civili innocenti – non meno di mille. Dagli elicotteri di esercito e polizia si scatenò il fuoco delle mitragliatrici sulla folla inerme nella piazza sottostante, che era stata circondata dai militari. A terra, elementi scelti dell’esercito in abiti civili e bande di avanzi di galera al soldo del governo, appositamente istruiti, fecero fuoco sia sulla gente che tra di loro, moltiplicando il numero delle vittime.

Una mattanza epocale, necessaria agli occhi del governo per via delle Olimpiadi che sarebbero iniziate soltanto una settimana più tardi; era la prima volta nella Storia che i giochi olimpici si tenevano in una nazione latinoamericana, gli occhi del mondo erano puntati sul Messico – che ci teneva a dare un’immagine di sé come Paese stabile, sicuro, affidabile.

I cadaveri furono portati via e fatti sparire – tradizione consolidata in Messico, tuttora vivissima. I mezzi d’informazione locali parlarono di una trentina di vittime nel corso di scontri tra bande di studenti (sic). Gli unici quotidiani europei a riportare la notizia furono Le Monde e il Corriere della Sera: Oriana Fallaci, che era presente nella piazza, fu colpita da tre proiettili, messa sul cumulo di cadaveri e si salvò solo perché un addetto alla sparizione degli stessi si accorse che era ancora viva. Viva per miracolo, ricoverata in ospedale, dal suo letto di degenza dettò l’articolo che fu pubblicato sul Corriere.

Fig. 7: Un frame tratto dall’intervista ad Oriana Fallaci dal suo letto in ospedale a Città del Messico; fonte: RAI

La memoria di quella macchia indelebile sulla coscienza collettiva della nazione fu negata, cancellata, avvolta nell’oblìo. Pochi giorni dopo iniziarono le Olimpiadi e della mattanza del 2 ottobre 1968 non si è parlato mai più – per cinquant’anni.

Cinquant’anni dopo, il 2 ottobre 2018, le sincronicità hanno cospirato per produrre un evento destinato a dare una spallata al muro di omertà, complicità e servilismo che hanno nascosto per mezzo secolo quell’orrore: l’autore di Regina, Antonio Velasco Piña, telefona ad Alberto Ruz Buenfil – autore della prefazione al libro nella speciale edizione celebrativa del cinquantenario – incaricandolo di organizzare una grande manifestazione/cerimonia di commemorazione proprio nella piazza che fu teatro del massacro.

La memoria di quella macchia indelebile sulla coscienza collettiva della nazione fu negata, cancellata, avvolta nell’oblìo. Pochi giorni dopo iniziarono le Olimpiadi e della mattanza del 2 ottobre 1968 non si è parlato mai più – per cinquant’anni.

Quella mattina, inaspettatamente, mentre erano in corso i preparativi dell’evento, arrivarono nella piazza i responsabili del servizio d’ordine del neo-eletto presidente della Repubblica Messicana, Andrés Manuel López Obrador (AMLO), che comunicarono agli increduli organizzatori che il presidente aveva deciso sponte sua di intervenire nella celebrazione e pronunciare un discorso.

Discorso nel quale AMLO – sul palco insieme agli anziani delle etnie native in costume cerimoniale – espresse il suo sincero dolore per quanto era successo mezzo secolo prima in quella stessa piazza e le condoglianze ai parenti delle vittime, unitamente al rammarico per la congiura del silenzio che ne aveva cancellato la memoria e alla solenne promessa che mai più l’esercito messicano avrebbe fatto fuoco sul popolo.

(Un ampio resoconto della cerimonia di commemorazione è pubblicato al seguente link: http://www.13lune.it/fileupload/fiori_e_canti.pdf)

La rimozione sincronica del principale, prolungato blocco energetico che aveva determinato la cancellazione della memoria della vergognosa mattanza e la scarsa diffusione del libro veniva così rimossa, tanto inaspettatamente quanto autorevolmente.

Tuttavia sarebbe riduttivo limitare l’importanza del libro al resoconto del massacro. Le vicende narrate si riferiscono alla vita di una ragazza che nacque nel 1948 in Messico e che fu portata da piccola in Tibet. Qualche anno prima della sua nascita, nel corso di un viaggio in India, un Lama tibetano di alto rango informò i genitori di Regina che avrebbero avuto un figlio dalle altissime qualità spirituali, che avrebbe dovuto ricevere l’adeguata preparazione in Tibet. Tutta la prima parte del testo è dedicata alla narrazione degli anni trascorsi dalla bambina in Tibet; riconosciuta come Dakini, Regina ebbe gli insegnamenti dei più importanti Lama tibetani. Fu lì, all’altro capo del mondo, che la fanciulla ricevette la missione che doveva compiere, che consisteva nel risvegliare il Messico. Già, il risveglio…

Fig. 8: Monaci Shigatse, Tibet; fonte: Wikicommons

Dapprima divertita, incredula e giocosamente incurante di una tale responsabilità, Regina diviene poco a poco sempre più consapevole della missione che il destino le aveva affidato. Gli anni vissuti in Oriente trascorsero tra l’incanto della valle fatata del Tibet, dove ricevette gli insegnamenti amorevoli e severi del Lama, e gli eventi dolorosi che fecero da contrappunto a quella magia: fu testimone dell’invasione cinese e della battaglia di Lhasa, in cui i suoi genitori furono uccisi sotto i suoi occhi, per poi finire internata in un campo di rieducazione cinese, dove però avrebbe incontrato un saggio taoista che le impartirà insegnamenti preziosi sugli strumenti musicali sacri – che si riveleranno fondamentali nel compimento della sua missione.

Una missione trascendentale, che a lei appare dapprima spropositatamente grande, al di là delle sue capacità, ma che gradualmente assume un rilievo assoluto nella sua vita e nelle sue scelte: risvegliare il suo Paese dal letargo in cui è immerso fin dai tempi della Conquista spagnola. Restituirgli ciò che aveva perso: la dignità, la consapevolezza e l’orgoglio del recupero delle sue stesse radici.

Il risveglio non è necessariamente un processo gradevole, piacevole, gioioso. Anzi il più delle volte è l’esatto contrario: è sgradevole, spiacevole, triste.

Le sincronicità, la qualità del tempo, il manifestarsi di processi trascendentali tramite eventi che spaziano nel corso di secoli o millenni e che rimangono incomprensibili alla stragrande maggioranza delle persone; il tema del risveglio e le sue implicazioni; la consapevolezza della responsabilità che comporta la comprensione del proprio ruolo in quei processi: sono questi gli elementi che fanno di Regina un testo epocale, a prescindere dal fatto che il suo sottotitolo fa riferimento a una data di oltre mezzo secolo fa, e che la sua pubblicazione in Italia avviene trent’anni dopo la sua pubblicazione in Messico.

Il risveglio non è necessariamente un processo gradevole, piacevole, gioioso. Anzi il più delle volte è l’esatto contrario: è sgradevole, spiacevole, triste. È un rito di passaggio, un’iniziazione – che nella tradizione sono sempre associati a pratiche di auto-sacrificio dolorose ma necessarie per la rinascita.

Tutti noi, nella nostra vita, viviamo momenti in cui gli eventi ci risvegliano, e sono tutt’altro che allegri: un incidente, una malattia, un lutto, una disgrazia, una tragedia… All’improvviso ci rendiamo conto che la routine quotidiana non ha senso, che viviamo la nostra giornata e la nostra vita da sonnambuli, affaccendati in compiti che tutto ad un tratto si rivelano insignificanti, irrilevanti, ignari ed incuranti delle cose che realmente contano. Ma siccome il risveglio è duro, doloroso, insopportabile, finiamo – più o meno consapevolmente – col riaddormentarci.

Non fa differenza se questo avviene sul piano individuale – di cui siamo più consapevoli – o collettivo; il processo del tornare ad addormentarsi dopo il risveglio è lo stesso. Come lo stesso è il processo che stiamo vivendo oggi, noi, qui e ora, individualmente e collettivamente.

Accorgersi, di punto in bianco, che tutto ciò che abbiamo sempre considerato normale non lo è più. Vedere i tuoi migliori amici immersi in un profondo letargo, sordi alle tue parole, deriderti perché pretendi di essere sveglio, tu. Osservare impotenti la potenza di fuoco del mainstream ed il suo effetto devastante sulla capacità di formulare pensieri che non siano la ripetizione acritica di quelli ripetuti incessantemente dagli “esperti”. Assistere sgomenti alla tracotanza di chi ha fatto della ri-definizione della realtà la sua specialità, e scoprire che le tecniche usate non sono nuove – sono vecchie di millenni. Realizzare che non puoi più fidarti di loro: di giornalisti, che fino a pochi anni fa realizzavano inchieste che facevano tremare i potenti e che spesso facevano una brutta fine, ma oggi sono ridotti a yesmen che copiano e incollano; di medici, dimentichi del loro giuramento e corrotti da un sistema marcio fino alle fondamenta; di politicanti e amministratori di ogni risma, interessati esclusivamente a mantenere i loro privilegi basati su una disuguale distribuzione delle risorse; di individui in divisa che dovrebbero proteggere noi, invece sono asserviti agli interessi dei potenti e godono nel mortificarci; di sedicenti scienziati, moderni sacerdoti della nuova religione universale autoreferenziale che non ammette il dubbio o il contraddittorio.

La dissonanza cognitiva è il prodotto del teatro dell’assurdo, aumenta il senso di impotenza e l’impotenza del buon senso. È ubiqua, onnipresente, non le si sfugge. Ma ha un effetto collaterale: accelera il risveglio. Alimenta la massa critica di chi riconosce di essere sotto ipnosi, vittima di un incantesimo, di chi rifiuta di tornare ad addormentarsi.

Per questo Regina è più attuale che mai: il dolore estremo che le tocca in sorte finisce col nutrire la sua gioiosa consapevolezza, il sapere di essere uno strumento per la realizzazione di un disegno superiore, di cui dal nostro piano di densità tridimensionale non riusciamo a vedere i contorni – ma sentiamo che siamo al servizio dell’evoluzione verso stati superiori dell’essere.

Allo stesso modo, anche chi si presta al gioco del massacro per un piatto di lenticchie, coloro che tengono in piedi il teatrino della narrativa dominante, stanno recitando una parte nel grande copione, e il loro zelo servile è funzionale al nostro…RISVEGLIO.