Sta’ finalmente per uscire nelle librerie, curata dal sottoscritto e da Guido Maria St. Mariani di Costa Sancti Severi, una corposa pubblicazione, corredata da saggi critici e da note esplicative, che presenta in traduzione italiana il primo di dieci rotoli costituenti una vasta opera chiamata Le Xunthye o Libro dei Rotoli, attribuita dalla Tradizione Misterica a Uelesh di Casa Ulhe, un autore che sarebbe vissuto nel decimo millennio avanti cristo, nell’ultima fase della civiltà fiorita sulle “Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente” e oggi comunemente nota come “Atlantide”. Una civiltà che sarebbe tragicamente scomparsa attorno al 9.600 a.C. a causa di quel secondo grande impatto cometario che, come oggi sostengono molti scienziati, colpì e devastò pesantemente il nostro pianeta, spostandone l’asse, ponendo fine al Dryas Recente e determinando un repentino innalzamento del livello dei mari e degli oceani dai 120 ai 200 metri. Un evento apocalittico ricordato da tutte le antiche tradizioni mitologiche e religiose che avrebbe fatto precipitare il mondo nella barbarie, determinando la fine di una precedente lunga linea evolutiva di civiltà.

Questa pubblicazione rappresenta in un certo senso un fatto epocale, perché determinati testi fino ad oggi non erano mai usciti dal ristretto ambito di scuole misteriche e non erano quindi fruibili ai profani, disponibili o liberamente consultabili.

Come ho spiegato nel primo volume del mio saggio di Da Eleusi a Firenze: la trasmissione di una conoscenza segreta e in una lunga serie di articoli usciti nel corso del 2018 su Archeomisteri, le Scuole Misteriche degli Eleusini Madre, sopravvivendo alle persecuzioni cristiane del tardo Impero Romano ed entrando necessariamente in clandestinità per continuare ad esistere e a perpetuarsi, hanno tramandato e preservato nel corso dei secoli un vastissimo patrimonio di antichi testi e documenti rimasti fino ad oggi del tutto sconosciuti al mondo profano. Testi e documenti che erano in origine custoditi nelle biblioteche e negli archivi del Santuario Madre di Eleusi e delle sue scuole sacerdotali, nonché di altri importanti Templi e Santuari dell’Eleusinità in Grecia, in Asia Minore, in Egitto, in Italia e in altre regioni del mediterraneo, e che sono stati salvati dalla distruzione e messi in sicurezza da solerti Sacerdoti ed Iniziati, spesso al rischio della propria vita.

I testi eleusini oggi conservati a Firenze, in buona parte provenienti dalle biblioteche della famiglia Eleusina Madre di rango sacerdotale pritanico dei Mariani di Costa Sancti Severi, discendente per linea di sangue dalla Tribù Primaria Eleusina dei Keryx, sono in massima parte di carattere religioso, teologico-mitologico, cerimoniale e rituale. Vi sono testi sacri dell’Eleusinità, alcuni dei quali conservati nella loro interezza, altri in frammenti sparsi riportati in codici medioevali; vi sono raccolte di inni sacri, preghiere e canti religiosi; vi sono calendari rituali e cerimoniali, concernenti le festività e le cerimonie religiose, incluse quelle a carattere iniziatico, stabilenti il contenuto e lo svolgimento delle cerimonie stesse. Vi sono, nel novero dei testi di natura teologico-mitologica, trattati cosmogonici e teogonici, concernenti l’origine degli Dei e dell’Universo, testi relativi alla creazione dell’umanità, testi sulla natura e sulle caratteristiche degli Dei, e raccolte di vaticini e profezie, dai contenuti veramente impressionanti. Vi sono poi numerosi trattati di natura scientifica (astronomici, matematici e geografici), testi filosofici, cronache storiche relative alle istituzioni ecclesiali eleusine e alle loro gerarchie sacerdotali e, infine, testi che potremmo definire prettamente di natura storica e letteraria, acquisiti nei tempi antichi dagli archivi del Santuario di Eleusi e preservati nella fase della clandestinità per l’importanza che veniva attribuita ai loro contenuti.

(Fonte: Pixabay)

La stragrande maggioranza di questi testi è, per ovvie e comprensibili ragioni, coperta dal rigore del segreto iniziatico e, di conseguenza, non è mai stata né mai probabilmente sarà fruibile da ambienti profani, o comunque estranei alle scuole misteriche stesse, nonostante che gli Eleusini Madre ne abbiano in più occasioni ammesso e confermato l’esistenza. Ma, nel quadro di una graduale “apertura” delle istituzioni Eleusine Madre al mondo profano, avviata seppur con cautela sin dagli anni ‘80 – apertura grazie alla quale si è resa possibile la pubblicazione di numerosi articoli e di alcuni saggi – è stata presa la decisione di mettere gradualmente a disposizione del pubblico, ma soprattutto di ricercatori e studiosi, una parte di questo vasto patrimonio testuale. Tale decisione, maturata ai vertici dell’Istituzione, non riguarda, né probabilmente mai riguarderà, i testi di natura iniziatica dell’Eleusinità, per varie ed ovvie ragioni destinati a restare segreti, bensì un limitato numero di opere di carattere storico, geografico, scientifico e letterario, non direttamente connesse con la Tradizione Misterica Eleusina e con la sua Dottrina, ma comunque acquisite nel corso dei secoli dalle Scuole Misteriche e da esse diligentemente preservate e conservate. E fra queste ultime ve ne sono alcune di straordinaria importanza, in quanto attribuite, secondo la Tradizione, ad autori vissuti in un’epoca antecedente alla storia comunemente conosciuta ed accettata, autori che sarebbero riconducibili ad una grande civiltà precedente alla nostra, evolutasi e sviluppatasi su un insieme di terre scomparse fra i flutti dell’odierno Oceano Atlantico settentrionale in seguito ad un immane cataclisma generato da due successivi impatti cometari verificatisi fra il 10.800 e il 9.600 a.C. Terre menzionate da tali testi e dalla Tradizione Misterica, come già abbiamo accennato, come le “Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente”.

…autori che sarebbero riconducibili ad una grande civiltà precedente alla nostra, evolutasi e sviluppatasi su un insieme di terre scomparse fra i flutti dell’odierno Oceano Atlantico settentrionale in seguito ad un immane cataclisma generato da due successivi impatti cometari verificatisi fra il 10.800 e il 9.600 a.C.

Vi era stata, d  a parte eleusina, già negli anni ’90 una prima autorizzazione a fare pubblica menzione di tali raccolte di testi, autorizzazione a cui fece seguito la pubblicazione, nel 1996, di un saggio di Guido Maria St. Mariani di Costa Sancti Severi intitolato La Scienza di Atlantide: le Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente secondo la Disciplina Arcaico-Erudita (Ed. Lunaris, Viareggio 1996), un libro ormai oggi esaurito e del quale è prevista a breve l’uscita di una nuova edizione, riveduta ed ampliata nei contenuti, che sarà pubblicata dalle Edizioni Aurora Boreale. In tale saggio veniva spiegato come le antiche scuole misteriche di Eleusi avessero ereditato determinate raccolte di testi da alcuni antichi ordini iniziatici la cui origine risaliva alla civiltà Minoica di Creta, ordini iniziatici che sarebbero in seguito confluiti, nel XII secolo a.C., nel più vasto contenitore dell’Eleusinità, fatto questo che spiegherebbe per quale motivo tali testi si trovassero custoditi nel Santuario di Eleusi.

La pubblicazione, nel 2010, del saggio di Paolo Rumor L’altra Europa[1], un libro molto controverso e definito da più parti come “sconvolgente”, ha in un certo senso aperto la falla in una diga. Basandosi su documenti, lettere e manoscritti raccolti nel corso degli anni da Giacomo Rumor, padre di Paolo ed esponente della Democrazia Cristiana, nonché uomo di fiducia del Cardinale Giovanni Battista Montini (il futuro Papa Paolo VI°, per molti anni ai vertici dei servizi segreti vaticani), e in tale veste incaricato di presenziare a quegli incontri internazionali e a quelle riunioni segrete che ebbero la funzione, dagli ultimi anni della IIª Guerra Mondiale fino agli anni ’50 (in particolare dal 1944 al 1955), di pianificare la futura Comunità Europea, l’autore di L’altra Europa portò allo scoperto qualcosa di inquietante e di inaspettato. Dietro la volontà e la determinazione di arrivare ad una unità politica ed economica del continente europeo vi sarebbe stato un progetto che affondava le proprie radici molto indietro nel tempo, travalicando la storia degli ultimi secoli, l’Età Moderna, il Medio Evo, spingendosi addirittura oltre l’antichità classica. E diversi uomini politici che ebbero un ruolo chiave nella pianificazione e nell’attuazione dell’unità europea, da Charles De Gaulle a Maurice Schumann, da Cesare Marzagora a Jean Monnet, solo per citarne alcuni, sarebbero stati legati o avrebbero fatto parte di un’organizzazione estremamente segreta ed elitaria, nel testo chiamata convenzionalmente “la Struttura”, le cui origini risalirebbero addirittura al IX millennio a.C., all’indomani di quei grandi cataclismi di portata planetaria che determinarono la fine della civiltà di allora. Un’organizzazione di carattere iniziatico che avrebbe quindi direttamente ereditato, custodito e trasmesso, in maniera non molto dissimile da quanto hanno fatto gli Eleusini, l’eredità e le conoscenze di una precedente antica civiltà, basando su tale retaggio e su tale “memoria” l’intera sua azione e i suoi occulti ed oscuri programmi; una struttura estremamente complessa e ramificata che di fatto si colloca fra quelle poche e misteriose organizzazioni che si contendono da tempo immemorabile le sorti ed i destini del mondo e che avrebbe “arruolato” fra le proprie fila, nel corso dei secoli, influenti uomini politici, scienziati, esoteristi (dal celebre mago Inglese di età elisabettiana John Dee fino a Eliphas Levi e Georgii Ivanovič Gurdjieff) ed importanti esponenti della cultura. Tutto questo traspare chiaramente e in maniera inequivocabile dalla corrispondenza intercorsa fra Giacomo Rumor e alcuni dei politici europei poc’anzi menzionati e da confidenze da Rumor raccolte fra gli anni ‘40 e i ‘50. E quello che agli occhi del comune cittadino potrebbe apparire come mera fantascienza appare altresì agli occhi di chi è in grado, possedendo le corrette chiavi di lettura, di comprendere la portata di certe rivelazioni, un quadro di assoluta plausibile realtà. E tale infatti è apparso agli occhi di noi Eleusini, favorendo in un certo qual modo le nostre graduali aperture al mondo profano.

Dietro la volontà e la determinazione di arrivare ad una unità politica ed economica del continente europeo vi sarebbe stato un progetto che affondava le proprie radici molto indietro nel tempo, travalicando la storia degli ultimi secoli, l’Età Moderna, il Medio Evo, spingendosi addirittura oltre l’antichità classica.

Quegli antichi ordini iniziatici che furono alla base della nascita dell’Eleusinità Madre fra il XIII e il XII secolo a.C. e che nel contesto di quest’ultima trasmisero e riversarono le proprie conoscenze erano sorti secoli prima nel contesto della civiltà Minoica cretese e avevano a loro volta ereditato le memorie e le conoscenze di una precedente civiltà madre della quale la Creta dei Minosse non altro sarebbe stata che il principale avamposto nel Mediterraneo. Una civiltà che viene comunemente, nell’immaginario collettivo, identificata con l’Atlantide di Platone, anche se essa non chiamò mai sé stessa, come spiegheremo, con tale nome. E la Tradizione Misterica, e nello specifico una particolare una branca di essa nota come Disciplina Arcaico-Erudita, trasmessa all’interno delle Scuole Misteriche Eleusine, ci insegna che tale civiltà, dalla quale derivarono buona parte delle successive antiche civiltà mediterranee, non era certamente la sola ad essersi compiutamente evoluta e sviluppata in quella fase della storia del mondo precedente ai grandi sconvolgimenti planetari del XII e dell’XI millennio a.C., fase che, convenzionalmente, potremmo definire “antidiluviana”.

(Affresco dagli scavi presso Akrotiri, Santorini, Grecia. Fonte: Wikicommons)

Questa civiltà “atlantidea”, sorta sulle Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente, terre che come abbiamo detto sorgevano nella parte settentrionale dell’Atlantico, e che secondo la Tradizione conquistò nel corso della sua lunga storia l’attuale parte centro-meridionale del continente americano, il bacino del Mediterraneo e la parte centro-meridionale del continente europeo (l’Europa settentrionale era all’epoca in buona parte coperta da ghiacciai), il Nord Africa, incluso l’attuale Egitto, e parti dell’attuale Medio Oriente, si scontrò in una lunga serie di guerre con altre civiltà sviluppatesi autonomamente in Anatolia, nella Penisola Balcanica, in Medio Oriente, nell’altopiano iranico, nella Valle dell’Indo e nello stesso Egitto. Civiltà anch’esse di natura guerriera, ma caratterizzate da una diversa impostazione sia ideologica che religiosa e culturale che le pose in diretta competizione con quella “atlantidea”, portandole inevitabilmente a scontrarsi con essa e a venirne in buona parte sottomesse.

L’ipotetica estensione dell’impero di Atlantide, tratto da Atlantis: the Antediluvian World di Ignatius Donnelly, 1

Sulla base di quanto abbiamo potuto riscontrare da un’analisi comparata dei documenti dell’Archivio Rumor riportati in L’altra Europa con documentazioni in nostro possesso, appare evidente non solo la plausibilità e la veridicità del quadro configurato in tale testo, ma anche che quella che in esso viene fantomaticamente chiamata “La Struttura” corrisponde ad una realtà a noi Eleusini ben nota da molto tempo. Un’organizzazione, quindi, ben reale e concreta, di fatto responsabile di molte delle vicende storiche degli ultimi secoli e millenni, ma a noi decisamente avversa e con la quale a più riprese, nel corso della storia, ci siamo scontrati. Un’organizzazione, quindi, realmente molto antica e che ha fino ad oggi conservato e trasmesso al proprio interno le memorie ed il retaggio culturale di una civiltà antidiluviana ideologicamente e religiosamente nemica ed avversaria di quella “atlantidea”. E, dopo aver preso contatto con gli autori di L’altra Europa ed aver acquisito da essi ulteriori elementi, la nostra convinzione a riguardo si è decisamente rafforzata, favorendo in noi la decisione di autorizzare la parziale pubblicazione di alcuni dei testi della Disciplina Arcaico-Erudita tramandati dalle nostre scuole misteriche.

Abbiamo infatti ritenuto, anche in seguito all’uscita, nel 2015, del saggio di Graham Hancock Il ritorno degli Dei[2], nel quale vengono presentate con dovizia di particolari le prove scientifiche dei due impatti cometari che nel 10.800 e nel 9.600 a.C. devastarono il nostro pianeta azzerandone la civiltà, e in seguito ad un sempre più rapido e crescente numero di scoperte archeologiche tendenti a retrodatare nettamente lo sviluppo e l’evoluzione della civiltà umana (in particolare il sito di Göbleki Tepe in Turchia ed il complesso delle piramidi di Visoko in Bosnia), che i tempi fossero finalmente maturi per tale pubblicazione.

(Veduta degli scavi nel sito di Göbleki Tepe in Turchia; Fonte: Wikicommons)

Stiamo parlando, in particolare, di due fondamentali raccolte di testi tramandate dalle nostre scuole misteriche: il Libro dei Rotoli, composto da ben dieci voluminosi tomi ed attribuito secondo la Tradizione Misterica ad un autore noto come Uelesh di Casa Ulhe, e gli ancora più voluminosi sedici Libri dei Tuskeya, attribuiti dalla Tradizione ad altrettanti autori diversi, ma il principale e più rilevante dei quali è attribuito ad un autore noto come Rhashamele’sh di Casa Fhanhia.

Sia Uelesh di Casa Ulhe che Rhashamele’sh di Casa Fhanhia e gli altri quindici autori dei Libri dei Tuskeya vengono considerati dalla Tradizione Misterica come vissuti nell’ultima fase della civiltà delle Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente (Rhashamele’sh durante l’Età dell’Oligarchia, quindi fra il 10.259 e il 10.224 a.C., e Uelesh nella successiva fase del cosiddetto “Impero Tanico”, che va dal 10.223 al 9.528 a.C.), e in tali opere vengono ripercorse e narrate, con un’incredibile dovizia di dettagli geografici e di informazioni mitologico-religiose, scientifiche e linguistiche, l’origine e la storia di tale civiltà, secondo un arco temporale incredibilmente vasto: oltre novemila anni!

In ambito eleusino studiamo tali testi da moltissime generazioni, ma uno dei motivi che fino ad oggi ne hanno frenato la pubblicazione, al di là delle ragioni di riservatezza iniziatica, è il fatto che essi, nella forma in cui li possediamo, non possono provare alcunché dei loro straordinari contenuti. Peccheremmo infatti di presunzione se volessimo considerare tali testi alla stregua di fonti storiche certe o di fonti dirette, dal momento che non disponiamo certo delle loro versioni originali, che si ritiene fossero vergate su tavolette o scritte su papiro. Per via di una consuetudine radicata nel contesto delle scuole misteriche dell’Eleusinità, consuetudine finalizzata esclusivamente alla conservazione nel tempo del patrimonio testuale, tali testi sono stati oggetto di numerose (anche se plausibilmente attendibili) trascrizioni successive, avvenute dall’antichità fino agli ultimi secoli ad opera di funzionari e di scribi che a tale attività hanno dedicato anni e anni di certosino lavoro. In sintesi, le versioni più antiche di tali testi in nostro possesso sono alcune loro stesure manoscritte, sia in lingua Latina che in lingua Italiana, che non vanno oltre il XVIII secolo, e le più “recenti” sono stesure, sia manoscritte che dattiloscritte, quasi esclusivamente in lingua Italiana, risalenti alla prima metà del XX secolo. Nell’ambito delle nostre scuole misteriche, quindi, ci siamo sempre limitati allo studio e all’analisi di determinate opere, senza alcuna pretesa di ritenerle né alla stregua di “testi sacri” o di “libri rivelati” (cosa che peraltro non sono), né tantomeno come una sorta di “verità assoluta”. E con quest’ottica, che riteniamo la più corretta che potessimo adottare, ci apprestiamo finalmente ad una loro parziale pubblicazione, che sarà necessariamente corredata da adeguate note e da saggi critici di supporto.

Un altro dei motivi che ne hanno fino ad oggi frenato, o quantomeno rimandato, una pubblicazione è sicuramente rappresentato dalla impressionante mole di queste opere. Sia i dieci tomi del Libro dei Rotoli che i sedici tomi costituenti i Libri dei Tuskeya, sono composti da svariate migliaia di pagine (soltanto il primo dei Libri dei Tuskeya, intitolato Le Progenie ed attribuito a Rhashamele’sh di Casa Fhanhia, da solo supera le duemila pagine!) ed una digitalizzazione di una limitata parte di essi è stata intrapresa soltanto di recente.

Ciò non toglie però che in essi sia racchiusa una straordinaria quantità di notizie storiche, mitologiche e geografiche e di dati etnologici e linguistici la cui verifica, qualora essa si rendesse anche solo in minima parte possibile, aprirebbe importanti nuovi scenari per la conoscenza e la comprensione della storia della civiltà umana.

Premesso, quindi, che non vi è da parte eleusina la minima pretesa di convincere nessuno riguardo al contenuto di detti testi, il nostro invito, man mano che avrà luogo la loro pubblicazione, sarà di accoglierli come opere letterarie del passato, perché, in fondo, tali possono essere considerate. Ciò non toglie però che in essi sia racchiusa una straordinaria quantità di notizie storiche, mitologiche e geografiche e di dati etnologici e linguistici la cui verifica, qualora essa si rendesse anche solo in minima parte possibile, aprirebbe importanti nuovi scenari per la conoscenza e la comprensione della storia della civiltà umana. Gli iniziati delle scuole misteriche eleusine che, nel corso degli ultimi secoli, hanno svolto su questi testi un’intensa attività di studio e di esegesi hanno sempre tentato di trovare delle conferme al loro contenuto e si può dire che, in ambito eleusino, le nostre scuole misteriche abbiano svolto e svolgano tutt’oggi un lavoro proporzionalmente inverso a quello degli archeologi: l’archeologo cerca di ricavare o di ricostruire da un reperto, da uno scavo o da una scoperta una storia; noi abbiamo a disposizione una storia, straordinariamente complessa e articolata, e il compito che ci siamo sempre prefissi è quello di tentare di verificarne l’attendibilità o di trovarne delle conferme proprio alla luce delle scoperte archeologiche. E non possiamo nascondere che, soprattutto negli ultimi due decenni, alla luce di importanti scoperte archeologiche “scomode” che stanno rivoluzionando l’ormai desueto paradigma accademico, molte conferme in tale direzione non sono mancate.

Le raccolte dei Testi della Disciplina Arcaico-Erudita ci narrano, come già abbiamo accennato, la storia, le origini e l’epopea di una civiltà umana precedente alla nostra, sorta ed evolutasi su sette grandi isole che un tempo sorgevano nell’attuale Oceano Atlantico settentrionale, lungo un arco temporale di ben nove millenni. O meglio, ci narrano e ci descrivono la storia della civiltà di una di tali isole, chiamata En’n e indicata fra le sette come la maggiore per estensione (con una superficie maggiore, secondo i nostri calcoli, dell’attuale penisola iberica), una civiltà alla quale sarebbero infatti appartenuti gli stessi autori a cui tali testi vengono attribuiti e che avrebbe nel corso del tempo conquistato e colonizzato dapprima le altre sei isole, a loro volta abitate da altre popolazioni, imponendo su di esse la propria cultura e il proprio dominio, per poi lanciarsi in una vera e propria serie di guerre di conquista che la portarono a sottomettere parte dell’America centro-meridionale, l’intero bacino mediterraneo, l’Europa meridionale, il Nord Africa e parti del Medio Oriente. Una civiltà, quindi, guerriera e dall’indole imperialista, dotata di grandi conoscenze geografiche, astronomiche e scientifiche, abile dominatrice dei mari e votata all’esplorazione, caratterizzata da una struttura sociale di stampo matriarcale e da una religione fondata sul culto degli Dei Titani. Una civiltà la cui scomparsa viene fatta risalire al 9.528 a.C. Ed è interessante – anzi, potremmo dire fondamentale – è il fatto che la fine e il tracollo della civiltà Ennica e delle intere “Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente”, indicatoci nei Testi come avvenuto in tale data, trovi piena corrispondenza temporale con il secondo grande impatto cometario che interessò la Terra, verificatosi secondo gli scienziati proprio attorno al 9.600 a.C. e che tale datazione venga menzionata anche dal grande Filosofo-Iniziato Platone, che nei suoi celebri dialoghi Crizia e Timeo fa menzione di Atlantide (Ἀτλαντὶς νῆσος, “isola di Atlante”), della sua civiltà e della sua scomparsa sotto i flutti dell’Oceano proprio in quel preciso momento storico.

La questione di Platone, in quanto primaria e universalmente nota e riconosciuta fonte profana in merito alla menzione di “Atlantide”, alla sua storia, alla sua descrizione e alla sua tragica fine, merita necessariamente in questa sede di alcune riflessioni e considerazioni e di altrettanto necessari approfondimenti, poiché, nella assai vasta saggistica sull’argomento, il Filosofo ateniese viene sempre e puntualmente chiamato in causa, sia dai sostenitori della passata esistenza del continente perduto che dagli scettici, dai detrattori e dai negatori della sua esistenza.

Come già abbiamo accennato, nei Testi della Disciplina Arcaico-Erudita tramandati dalle Scuole Misteriche degli Eleusini Madre, non viene mai fatto alcun riferimento a un’ipotetica civiltà “Atlantidea” (o comunque chiamata nel suo complesso con il nome di “Atlantide”). Si parla altresì, come abbiamo visto, delle “Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente”, descritteci con estrema precisione come ubicate nell’odierno Atlantico settentrionale, e di una delle civiltà che le dominava, quella “Ennica” (una civiltà di evidente tipo Cro-Magnon e dai tratti fisici che oggi definiremmo “mediterranei”, evolutasi e sviluppatasi sull’isola più meridionale, l’En’n, che sorgeva ad Ovest dello stretto di Gibilterra, con dimensioni più o meno pari a quelle dell’odierna penisola iberica), la quale avrebbe dapprima conquistato e colonizzato le altre sei “Grandi Isole”, per poi avventurarsi nella conquista dell’Europa meridionale, del bacino mediterraneo, dell’Africa settentrionale, del Vicino Oriente e delle Americhe, impiantandovi la propria cultura e le proprie tradizioni.

(Busto marmoreo di Platone di epoca romana imperiale; Roma, Musei Vaticani)

Da un punto di vista eleusino, nell’ambito delle nostre scuole misteriche, dove i Testi della Disciplina Arcaico-Erudita vengono tutt’oggi studiati e commentati, non ci si è mai posti il problema dell’esistenza o meno di questa grande passata civiltà, poiché in ambito misterico essa è sempre stata considerata un dato oggettivo, una ben precisa realtà storica. Ma ci rendiamo perfettamente conto che così non è – e non può ovviamente essere – in un ambito profano che vede, da un lato, una moltitudine di storici, scrittori e studiosi, non sempre titolati o qualificati, intenti a dimostrare la realtà di “Atlantide”, spesso purtroppo elaborando anche teorie confuse e fantasiose e tentando di identificare o collocare la mitica terra perduta un po’ ovunque (dalle sabbie del Sahara all’Amazzonia, da Creta ai ghiacci dell’Antartide!) tranne che nella sua reale e naturale collocazione, ovverosia sui fondali del Nord Atlantico, e da un altro lato il muro di gomma dell’Archeologia “ufficiale” o “accademica”, determinata a negare ad oltranza come un disco rotto ogni possibilità a riguardo. Ed entrambi questi schieramenti impugnano inesorabilmente la figura di Platone, tirandola per la giacca per sostenere le proprie tesi.

Risultano quindi a nostro parere fuorvianti, per la comprensione del particolare contesto di cui stiamo parlando (la realtà storica di questa civiltà-madre nord-atlantica), sia il nome “Atlantide” che la vera e propria ossessione degli atlantologi, sia di ieri che di oggi, nei confronti di Platone e dei suoi dialoghi Timeo e Crizia, nei quali il grande Filosofo ed Iniziato ateniese, vissuto a cavallo fra il V e il IV secolo a.C., notoriamente fece menzione di una grande civiltà scomparsa nove millenni prima della sua era. Fossilizzarsi su Platone (il cui vero nome fu Aristokles; Πλάτων, Plátōn era solo un soprannome il cui significato è “dalle spalle larghe”), o comunque esclusivamente e limitatamente a Platone e ai suoi dialoghi, come hanno fatto e continuano a fare tanti storici e ricercatori e tanti pseudo-cercatori di Atlantide da Ignatius Donnelly in avanti, da un punto di vista strettamente archeologico non porta chiaramente a nulla. A prescindere da quali siano realmente state le fonti di Platone e dal fatto che occorra una particolare sensibilità iniziatica (che molti storici e ricercatori profani decisamente non hanno) per comprendere al meglio i suoi scritti ed il suo messaggio, se rapportiamo i passi relativi ad “Atlantide” del Timeo e del Crizia con i Testi della Disciplina Arcaico-Erudita trasmessi dalle scuole misteriche eleusine, appare evidente come le informazioni platoniche risultino parziali, limitate ed incomplete, per di più inserite nel contesto di dialoghi maieutico-filosofici il cui obiettivo intendeva essere prettamente formativo in senso iniziatico, e quindi di fatto non sempre utilizzabili strettamente o esclusivamente in chiave storico-archeologica o geografica. A nostro avviso gli unici elementi realmente attendibili dei passi platonici relativi ad “Atlantide” (elementi che, guarda caso, sono anche quelli più contestati dall’Archeologia “accademica”) sono quello cronologico, ovverosia la collocazione nel tempo della sua scomparsa al X millennio a.C., e la sua effettiva collocazione geografica oltre le Colonne d’Ercole, nell’Atlantico settentrionale. Mentre il territorio che egli descrive rappresenta molto probabilmente soltanto una porzione della grande isola-continente di En’n, la cui conoscenza si era probabilmente tramandata negli ambiti sacerdotali egizi con i quali era venuto in contatto Solone. Non è sicuramente una casualità il fatto che, come risulta dai Testi della Disciplina Arcaico-Erudita e come abbiamo già accennato, una delle tre regioni in cui sarebbe stato suddiviso l’En’n venga menzionata con il nome di Hath-Lan-Thiv-Jhea (nome composto da quattro distinti geroglifici, la cui traduzione letterale è “La Grande Madre venuta dal Mare” o “La Grande Madre dei Figli del Mare”. E che, sempre secondo i Testi della Disciplina Arcaico-Erudita, la Hath-Lan-Thiv-Jhea, prima di venire conquistata dagli Ennosigei, sarebbe stata, al pari del confinante Fe-Sehj-Hunhe (Poseidone), un fiorente regno indipendente con secoli di storia alle spalle. E sia il Libro dei Rotoli attribuito a Uelesh di Casa Ulhe che i sedici Libri dei Tuskeya ci riferiscono di numerose spedizioni navali della Hath-Lan-Thiv-Jhea e del Fe-Sehj-Hunhe nel Mediterraneo (all’epoca chiamato area dei “grandi laghi interni”, non essendo stato ancora realizzato il canale di Gibilterra)[3] a partire dal 13.000 a.C. per le flotte poseidonie e circa un millennio dopo per quelle atlantidee. Tali incursioni portarono a varie fasi di conquista del bacino mediterraneo e dell’odierno Egitto e possiamo ben comprendere quanto la più arcaica mitologia della terra bagnata dal Nilo sia effettivamente di origine poseidonia e soprattutto atlantidea. Questo ben spiegherebbe il persistere in Egitto, ancora al tempo di Solone, della voce “Atlantide”, o il ricordo di una civiltà straniera con tale denominazione.

A nostro avviso gli unici elementi realmente attendibili dei passi platonici relativi ad “Atlantide” … sono quello cronologico, ovverosia la collocazione nel tempo della sua scomparsa al X millennio a.C., e la sua effettiva collocazione geografica oltre le Colonne d’Ercole, nell’Atlantico settentrionale.

Apprendiamo inoltre, sempre dai Testi della Disciplina Arcaico-Erudita, come una particolare città (ubicata però in un’altra regione dell’En’n denominata Ensikhthn, ovvero “Ennosigeo”, quella storicamente destinata a prevalere su tutte le altre) venga menzionata da Rhashamele’sh nel primo dei sedici Libri dei Tuskeya come Hath-Lan-Thiv-Hesh (nome anch’esso composto da quattro geroglifici ennici e traducibile – a seconda delle interpretazioni – come “La Grande Madre venuta dalle Stelle” o “La Grande Madre dei Figli delle Stelle”. Una città che, come avremo modo di spiegare in ulteriori nostri approfondimenti, per come ci viene descritta dall’autore ennico, presenta non poche analogie con la descrizione della capitale di Atlantide fornitaci da Platone nei suoi dialoghi. Ed è altrettanto perfettamente plausibile che, a distanza di così tanti millenni, al tempo di Solone e di Platone si tendesse in Egitto a non cogliere più le differenze fra “Hath-Lan-Thiv-Jhea” e “Hath-Lan-Thiv-Hesh”, due nomi talmente ormai lontani nella caverna del tempo da venire confusi e assimilati nel più generico nome di “Atlantide”.

(Fine prima parte)

 

Note

  1. Paolo Rumor (con la collaborazione di Giorgio Galli e Loris Bagnara): L’altra Europa: miti, congiure ed enigmi all’ombra dell’unificazione europea. Cit.
  2. Graham Hancock: Il ritorno degli Dei. Ed. Corbaccio, Milano 2016.
  3. Secondo quanto riportato dai Testi della Disciplina Arcaico-Erudita, fino al XII millennio a.C. l’area dell’attuale Mediterraneo comprendeva due grandi laghi interni, uno fra l’attuale Gibilterra e la Sicilia, l’altro fra la Sicilia, l’Egitto, le coste greco-anatoliche e quelle siro-palestinesi. Vi era, in aggiunta, un altro più piccolo lago, corrispondente a circa la metà dell’odierno Mar Nero. Sempre secondo tali Testi, un grande canale artificiale navigabile venne realizzato fra l’Africa e la penisola iberica, dove oggi vi è lo stretto di Gibilterra, dagli Ennosigei al tempo della IIIª dinastia (12.273-11.892 a.C.