Ormoni, anabolizzanti, farmaci, antibiotici… ”additivi” che il consumatore può ritrovarsi nel piatto ma dei quali in etichetta non leggerà alcuna sigla.

L’uso di ormoni promotori della crescita, di sostanze anabolizzanti, di antibiotici aggiunti alle razioni degli animali da allevamento è diventata una pratica di routine indipendente dallo stato di salute degli animali e ha lo scopo di assicurare la continuità nella produzione di carne, latte, uova.

Gli ormoni in natura sono sostanze prodotte in un organismo da ghiandole interne e sono necessari per la regolazione di importanti funzioni: gli ormoni sessuali regolano la riproduzione e le funzioni sessuali, quelli tiroidei agiscono sul metabolismo, il somatotropo regola l’accrescimento, e così via… Questo avviene nell’uomo e negli animali, per cui le carni e il latte ne contengono piccole quantità che, una volta ingerite, possono avere effetto anche sulla nostra salute.

Anche le piante producono ormoni, (si tratta dei cosiddetti fitormoni) che sono reperibili, per esempio, nella soia, nel germe di grano, in cavoli, piselli e patate.  Si tratta per lo più di fito-estrogeni che stimolano in modo naturale l’accrescimento degli animali (il trifoglio per i ruminanti) mentre nell’alimentazione umana svolgono un ruolo che può essere interessante in quanto “mimano” gli ormoni umani; per questo quelli della soia e del trifoglio rosso trovano impiego per contrastare i fastidi della menopausa e sono contenuti in alcuni integratori alimentari.

Il problema dei possibili effetti dannosi da ormoni ingeriti con gli alimenti si pone in particolare quando si consumano prodotti derivati da animali, specialmente carni bovine e latte, ai quali gli ormoni siano stati somministrati a scopo terapeutico o per stimolare l’accrescimento. Gli ormoni anabolizzanti, del tipo di quelli usati nel doping sportivo, producono negli animali un aumento del volume muscolare; la somatotropina nelle vacche lattifere incrementa la produzione di latte. Il problema esiste anche per le carni avicole dati i tempi di metabolizzazione più lunghi rispetto alla breve vita di un pollo di allevamento (45-65 giorni). Gli anabolizzanti (ormoni sessuali maschili e femminili: estradiolo, progesterone, testosterone, trenbolone, zeranolo) sono farmaci che stimolano il metabolismo proteico, per cui inducono un aumento della massa muscolare. Le sostanze maggiormente utilizzate sono gli ormoni sessuali maschili e i loro derivati, responsabili tra l’altro dell’aumento di statura che si verifica con la pubertà. A livello dei muscoli aumentano il contenuto di azoto, glicogeno, fosforo a elevato potenziale energetico. Aumentano la ritenzione di calcio, potassio, sodio e cloro.
Gli anabolizzanti ormonali sono utilizzati in zootecnia per la crescita intensiva dei vitelli “da latte”. Questi composti sono somministrati ai giovani bovini per via orale, intramuscolare o sottocutanea, e comportano un incremento del peso finale del 10 – 20 per cento; a questo modo accorciano i tempi di allevamento di qualche settimana. Questo accentua la normale perdita di peso della bistecchina di vitello durante la cottura.

Da un lato sono le tecniche di allevamento che richiedono tempi e performances costanti, dall’altro c’è la richiesta di mercato: le preferenze dei consumatori si orientano verso carni con livelli sempre più bassi di grassi e di colesterolo. La ricerca scientifica ha individuato una serie di sostanze dotate di caratteristiche comuni quali la capacità di favorire la deposizione di proteine nelle carcasse, impedire l’accumulo dei lipidi e aumentare la velocità di accrescimento corporeo. La prima sostanza impiegata in maniera massiccia fin dagli anni ’40, in risposta all’esigenza di incrementare la crescita degli animali castrati, fu il dietilstilbestrolo (Des) un ormone di sintesi dotato di caratteristiche simili a quelle degli estrogeni di origine animale. Gli effetti positivi furono evidenti soprattutto nei ruminanti e, in particolare, nei maschi castrati.

Al Des si aggiunsero in seguito numerosi ormoni sia di sintesi sia naturali. Tutti gli ormoni sono caratterizzati da un meccanismo di azione comune; il risultato complessivo di questa azione è un aumento della velocità di crescita e un maggiore fabbisogno di energia che spiega la diminuzione riscontrata nella deposizione di grasso. Gli ormoni steroidei esercitano un’azione diretta sulla massa muscolare; l’impiego di anabolizzanti steroidei nella pratica zootecnica pone, tuttavia, una serie di problemi legati principalmente alla presenza nelle carni di residui degli ormoni impiegati, in particolare di quelli di sintesi che vengono metabolizzati dal fegato in misura molto minore degli steroidi naturali.

Il problema dei possibili effetti dannosi da ormoni ingeriti con gli alimenti si pone in particolare quando si consumano prodotti derivati da animali, specialmente carni bovine e latte, ai quali gli ormoni siano stati somministrati a scopo terapeutico o per stimolare l’accrescimento.

Anche questi ultimi, comunque, a dosaggi elevati, come spesso avviene nell’impiego clandestino (in questi casi la somministrazione di ormoni serve per mascherare uno stato di malattia) o comunque non controllato degli anabolizzanti, sembrano essere in grado di favorire nell’uomo lo sviluppo di alcune patologie tumorali specifiche e indurre modificazioni morfologiche e funzionali in particolare nelle fasce di età in cui la produzione endogena di ormoni è più debole, come la pubertà e la vecchiaia.

Negli Stati Uniti la somministrazione di ormoni ai bovini è ammessa e regolamentata, con la motivazione che il sistema di allevamento dispone di vasti pascoli e di cereali e semi di leguminose (soia) a basso prezzo; le carni pertanto hanno un costo inferiore rispetto a quelle europee e questo costituirebbe elemento sufficiente a evitare il rischio che l’uso degli ormoni induca disaffezione nei consumatori; non va dimenticato che questi negli Usa hanno un rapporto di alta fiducia con l’organismo di controllo (Food and Drug Administration). Questo rapporto, nel caso specifico, si baserebbe sulla garanzia che la FDA offre circa l’osservanza di limiti quantitativi degli ormoni contenuti nelle carni bovine e nel latte; peccato che vengano offerte garanzie basate anche su sufficienti conoscenze scientifiche circa gli effetti delle piccole dosi nel consumatore.

In Europa e in Italia è vietato l’impiego di qualsiasi tipo di ormone con varie motivazioni. Innanzitutto il sistema di produzione animale di tipo intensivo, anche per l’insufficienza di terreni a pascolo, determina un più elevato costo della carne e quindi un minor consumo rispetto agli Usa, per cui è da evitare il rischio di un abbassamento dei consumi imputabile a incertezze sulla sicurezza alimentare (come è avvenuto a seguito del fenomeno “mucca pazza”). A questo si aggiunge la consapevolezza di un sistema di controllo alla produzione che presenta troppe falle, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto quantitativo ancora lontano dall’assicurare la significatività statistica del numero dei controlli. In tale situazione assume rilevanza il “principio di precauzione”, sostenuto anche da conoscenze scientifiche da molti ritenute insufficienti circa possibili effetti cancerogeni prodotti da consumi prolungati nel tempo di alimenti contenenti ormoni e loro residui anche a basse dosi: da tutto questo, il divieto dell’uso di ormoni nella produzione animale in Italia, con la ovvia necessità di controllare particolarmente le carni di importazione. Vogliamo fidarci?

In Italia è stata istituita la cosiddetta Anagrafe Zootecnica: ogni capo allevato deve essere accompagnato da tre documenti che garantiscono la cosiddetta tracciabilità, ovvero la ricostruzione del percorso di vita di ciascun animale che sia destinato alla produzione di latte o di carne o che si tratti di un riproduttore.

Il primo documento è la cedola di identificazione, un passaporto zootecnico, dove sono riportati tutti i dati segnaletici dell’animale (data e luogo di nascita, razza, sesso); sul retro vengono apposte le firme di ogni allevatore che ha tenuto l’animale. Il secondo documento è la marca auricolare, l’orecchino, che riporta il numero di identificazione dell’animale. Per finire, il “modello rosa” o modello certificato che riporta tutti gli spostamenti dell’animale e il nome del trasportatore. In più gli allevatori hanno l’obbligo di tenere presso le aziende o nelle stalle di sosta il registro di carico e scarico che riporta il passaggio di tutti gli animali.

La vigilanza sugli animali si basa innanzitutto su un controllo amministrativo che deve evidenziare l’origine dell’animale e tutto il suo percorso di vita. Ci sono poi controlli di tipo sanitario negli allevamenti e nei macelli (controllo delle malattie infettive) e controlli sugli aspetti produttivi, che riguardano l’uso e l’eventuale abuso di farmaci veterinari. In particolare si cerca di capire se le carni siano state “gonfiate” con anabolizzanti e se gli allevatori abbiano rispettato il tempo di sospensione dalla somministrazione di un farmaco alla macellazione. Questo ultimo tipo di controllo avviene prevalentemente a campione su una percentuale in genere piuttosto bassa (5-6%)

Dal 1995 oltre ai controlli effettuati dalle Asl il ministero della Salute ha predisposto il Piano Nazionale dei Residui che testa la presenza di ormoni, farmaci, antibiotici e inquinanti ambientali negli animali, nelle carni, nel latte nelle uova e nel miele (naturalmente solo per gli inquinanti ambientali).

Il Piano Nazionale dei Residui controlla attualmente la presenza delle seguenti sostanze:

  • ormoni steroidei naturali (negli animali e nelle carni): estradiolo, progesterone, testosterone,
  • beta-antagonisti (negli animali e nelle carni),
  • stilbenici (negli animali e nelle carni): Des, dienestrolo, esestrolo,
  • antibiotici e chemioterapici (negli animali e nelle carni),
  • altri ormoni anabolizzanti (negli animali e nelle carni): boldenone, zeranolo, trenbolone, nandrolone,
  • antibiotici, chemioterapici, inquinanti ambientali (nel latte, nelle uova e nel miele).

Un po’ di cronaca…

…un episodio accaduto a Bologna alla fine degli anni ‘70. Una signora particolarmente affezionata ai gatti si presentò all’Ufficio di Igiene del Comune di Bologna raccontando che improvvisamente alcuni gatti da lei curati e alimentati erano ingrassati enormemente. Dall’indagine condotta, risultò che la signora aveva utilizzato omogeneizzati di carne per bambini che, in quanto scaduti, le venivano ceduti gratuitamente e che usava per alimentare i gatti.

Il fenomeno del “rigonfiamento” dei felini, evidentemente dovuto a forte ritenzione idrica, fu messo in relazione a tale tipo di alimentazione, per cui si procedette a campionamento e analisi degli omogeneizzati in commercio. Le analisi svelarono la presenza di rilevanti quantità di estrogeni, probabilmente conseguenti alla loro somministrazione agli animali da cui derivavano le carni.

Da questo episodio tutto sommato banale ebbe avvio la conoscenza di un fatto particolarmente critico per la salute dei bambini, tanto che successivamente la produzione degli omogeneizzati di carne si è qualificata dando precise garanzie, comprovate dalle analisi, basate sull’uso di carni sicuramente provenienti da animali non trattati con estrogeni.

…mai sentito parlare di “telarca precoce”? in un’inchiesta del 2000 condotta dalla procura di Torino è emerso che alcuni omogeneizzati venivano preparati con carni provenienti da bovini trattati con estrogeni e anabolizzanti. Alcuni bambini avevano manifestato, in seguito all’assunzione di questi omogeneizzati, sviluppo del seno nei maschi e nelle femmine, quasi si trattasse di un inizio di pubertà (telarca precoce). Questi episodi, sicuramente allarmanti, non sono per fortuna irreversibili: il ritorno a un’alimentazione “casalinga” determina la regressione del fenomeno.

…Stati Uniti. Il quotidiano Washington Post riporta, in data 17 marzo 2000, la seguente notizia.  Una signora di 66 anni, ma pare non sia un caso isolato, ricoverata per un bypass cardiaco in un ospedale di Detroit sviluppò improvvisamente una crisi respiratoria con infezione polmonare. I medici le somministrarono gli antibiotici del caso, ma senza effetto. Vennero allora usati nuovi preparati ai quali però i microrganismi che sostenevano l’infezione mostrarono una singolare resistenza. La donna morì poco dopo.

L’uso massiccio di antibiotici causa nel breve periodo un pericoloso squilibrio della microflora intestinale, nel lungo periodo la comparsa di resistenza da parte dei microrganismi. Questo si verifica anche nel caso in cui gli antibiotici siano introdotti nell’organismo con l’alimentazione, attraverso carni, latte e prodotti di origine animale.

L’errore più comune della medicina ufficiale è di considerare ogni organismo come se fosse isolato da tutto quello che lo circonda.
Invece siamo immersi in un grande TUTTO con il quale le nostre cellule comunicano e scambiano informazioni continuamente e ogni momento.
Si chiama VITA.