Mentre chi scrive possiede buona parte delle tessere del mosaico inerenti alla tramandazione e perpetuazione della propria specifica tradizione iniziatica, quella Eleusina di Rito Madre, riconosco in tutta umiltà, nonostante decenni di studi e di ricerche, di non possedere che alcune e frammentarie tessere riguardo al percorso carsico attraverso il quale sono giunte fino ai nostri tempi i Riti “Figlia” dell’Eleusinità, in primis il Samotracense e l’Orfico. E lo stesso discorso vale per realtà che, pur appartenendo alla Tradizione e al filone di trasmissione dell’Eleusinità Madre, sono state separate dalla diaspora ed hanno proseguito in isolamento il loro percorso. Mi riferisco, nello specifico, ad alcune delle Tribù disperse di Eleusi, i cui discendenti, oggi presenti, oltre che in Italia, in altri paesi europei ed oltreoceano, già in passato hanno mostrato di rifiutare un onesto dialogo e che oggi mi auguro leggano queste righe.

Al di là dei filoni Figlia e Pitagorico, e dalla complessa realtà determinatasi dalla dispersione, nell’ambito dell’Eleusinità Madre, di alcune delle Tribù primarie di Eleusi, frammenti non certo trascurabili della Tradizione sono inoltre sopravvissuti, in Italia ed altrove, nell’ambito di ristretti gruppi di famiglie. Un esempio calzante a riguardo ci è fornito da Roberto Sestito nel suo saggio Storia del Rito Filosofico Italiano[1], quando egli ci parla delle Fratrie.

Il contesto di riferimento a cui si riferisce Sestito, quello dei prodromi della Massoneria “egizia” napoletana, potrebbe apparentemente esulare dal nostro discorso, ma vedremo che non è così. L’autore evidenzia, infatti, che i fondatori della Libera Muratoria di Napoli del XIX° secolo, nei loro Prolegomeni storici alle Costituzioni del Rito Scozzese pubblicate nel 1820 (che con molta probabilità non sono altro che la trascrizione delle Costituzioni del 1750 del Principe di Sansevero Raimondo Di Sangro) si riallacciano esplicitamente ad una tradizione “regionale” dell’Italia meridionale, una tradizione espressamente di carattere “pitagorico”, e che un discendente del Conte di Clavel, proprietario di una villa ad Anacapri (località in cui il Conte, finita la Iª Guerra Mondiale, era solito passare lunghi periodi dell’anno in compagnia di Amedeo Rocco Armentano e di Italo Tavolato) sosteneva di aver saputo che i gradi coperti del Rito mizraimita non erano mai usciti da Napoli, rappresentando per la nostra penisola una sorta di «pignora sacra»[2]. E inoltre che, negli Annali del Rito Filosofico Italiano, in relazione al Rito di Mizraìm e al relativo Supremo Consiglio per la Francia, si parli di una «costituzione calabrese»[3].

Come evidenzia Sestito, la locuzione costituzione calabrese nasconderebbe una precisa allegoria filosofica, come del resto anche quella rito egiziano, indipendentemente dal puro e semplice riferimento geografico, perché, come scrisse in un suo articolo Giustiniano Lebano, «La voce “Egitto” in arcano non era intesa per quel luogo geo-grafico comunemente conosciuto. La voce “Egitto” è primandria di Aig-Ipt-Os. Spiegate le varie voci con l’ermeneutica s’intendeva ogni Urbe Arcana collegata alla vasta fascia dello zodiaco urbico dell’universo arcano. Egitto quindi è voce arcana che spiega il Mondo arcano. E gli Egizi furono detti i Subcostituiti»[4].

Sembrerebbe, quindi, come evidenzia sempre Sestito, che a Napoli, nella prima metà del XVIII° secolo, sia venuta (o riemersa) alla luce una corrente iniziatica che, con criteri propri, si era insediata negli alti gradi del Rito Scozzese della Massoneria e tra i vertici di altri ordini esoterici di carattere ermetico, egizio e templare. In poche parole, «una superba rinascenza spirituale non limitata soltanto alla Massoneria e non dissimile da altre fioriture avvenute in altre epoche e con finalità alquanto simili»[5].

Tiziano Vecellio: Allegoria delle Tre Età dell’Uomo, 1570 ca., raffigurante in realtà un concetto iniziatico del culto di Serapide (Londra, National Gallery)

Lo scrigno che conservava una semente così preziosa era probabilmente custodito nell’ambiente delle Fratrie, misteriose associazioni tipiche dell’Italia meridionale, i cui vincoli di solidarietà furono sempre strettissimi e resistenti, per costumi e mentalità, a tutte le innovazioni di carattere sociale e religioso e che si sono perpetrate nel tempo senza bisogno di statuti o di regolamenti scritti.

La fratria, nell’interpretazione che ci fornisce Sestito, era un sodalizio, derivato dal modello antico, potremmo tranquillamente dire dal γένος (ghenos) greco, che attraversava e trascendeva il modello della famiglia tradizionale, normalmente molto chiusa, per aprirsi a determinati individui anche di diverso livello sociale o di altre località geografiche, e si formava di fronte all’esigenza di mantenere e trasmettere un segreto, un sapere occulto o un bagaglio di tradizioni e conoscenze destinate a restare appannaggio di pochi e a non divenire di pubblico dominio o oggetto di una condivisione allargata. Un concetto, quindi, che può trovare similitudine nel clan di modello scozzese, o in quello di tribù (si pensi alle tribù sacrali di Eleusi), vere e proprie famiglie allargate la cui esistenza e le cui azioni si fondavano sulla difesa e sulla tramandazione di una tradizione.

Sestito, nel suo saggio, si riferisce chiaramente ad una trasmissione della Conoscenza iniziatica e di determinate antiche Tradizioni misteriche avvenuta nell’Italia meridionale, ma si trattò in realtà di un fenomeno geograficamente molto più esteso e, sotto molti aspetti e varie forme, estendibile all’intero continente europeo, anche se la penisola italiana rappresentò indiscutibilmente, per tutta una serie di ragioni più o meno note, il fulcro di tale fenomeno. Ma l’esempio chiamato in causa da Sestito risulta oltre qual modo calzante ed esplicativo ai fini della comprensione delle dinamiche di un fenomeno così complesso e, al contempo, impenetrabilmente inaccessibile ai più.

In effetti, come ci confermano varie fonti, è proprio grazie all’operato di un qualcosa di molto simile alle fratrie che la Tradizione Misterica è riuscita a sopravvivere, sia in Italia che in altre nazioni europee, con un filo ininterrotto, dall’antichità fino ad oggi. Sia gli Eleusini Madre che quelli di altri Ordini e Riti questo lo sanno molto bene, perché, a prescindere dalla parallela sopravvivenza delle istituzioni ecclesiali occultatesi all’interno delle Scuole Neoplatoniche, delle Accademie e di altre simili strutture, la maggior parte del patrimonio misterico e sapientale dell’Eleusinità è sopravvissuto all’interno di gruppi di famiglie, che potevano o meno essere in contatto fra loro (ma che per molti secoli preferirono non esserlo), famiglie che potevano essere o divenire anche di natura allargata, sul modello del clan, della tribù o della fratria, qualora se ne presentasse la necessità (ad esempio, nel caso della mancanza di un erede diretto per linea di sangue, ricorrendo ad adozioni di persone fidate o a matrimoni a tal fine pianificati). Famiglie in cui la tramandazione del patrimonio sapientale e della conoscenza iniziatica sovente avveniva secondo una regola non scritta ma motivata da tutta una serie di ragioni di sicurezza: quella del salto generazionale, con il passaggio – ad esempio – da nonno a nipote. E molte di queste famiglie sono coincise, nella storia, con importanti dinastie, casate nobiliari e signorie, come nel caso dei Medici, dei Gonzaga, degli Este, dei Visconti, dei Da Varano, dei Da Montone o dei Malatesta.

Piero Della Francesca: Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo, 1541. Raffigura in realtà il rito di iniziazione di Sigismondo Pandolfo Malatesta all’Ordine Pitagorico, officiato da Giorgio Gemisto Pletone (Rimini, Tempio Malatestiano)

Riporto qui di seguito il testo di un altro interessante documento manoscritto segreto risalente al XIX° secolo, acquisito e fino ad oggi conservato dalla Scuola Eleusina Madre di Firenze. Nonostante sia stato oggetto di una qualche forma di censura che ne ha omesso i no-mi contenuti, sostituendoli con delle iniziali puntate, risulta molto chiaro ed esplicativo:

«In alcuni ceppi di famiglie, pare che si siano tramandate, di padre in figlio o da nonno a nipote, alcune “leggende”, non sapremmo come chiamarle altrimenti, attraverso le quali era possibile ricostruire un’eredità agli occhi dei più scomparsa (…). Si sa, ad esempio, che il Conte di V., che visse nella Lorena del XVIII° secolo, riuscì a raccogliere una gran massa di certe informazioni da altre famiglie, che aggiunse a quelle già in suo possesso, tramandategli dai suoi antenati nel castello di F. Informazioni che gli permisero di costituire ben dodici volumi di seicento pagine l’uno. Ma il Conte di V. era ben conscio di aver raccolto soltanto la centesima parte di una certa tradizione segreta. Egli non fu il solo, in tempi moderni, a detenere un corpo letterario segreto. Si diceva, ad esempio che la raccolta del Conte di S.G. fosse colossale e che G.C., personaggio notissimo nella letteratura, ne possedesse una simile. Un’altra, sicuramente, era in mano ai Re di F.

Se si potesse riunire questo sapere sotterraneo, si potrebbe certamente venire a capo di qualcosa di sensazionale, ma ogni Famiglia, Circolo o Scuola, è sempre stata rigorosamente gelosa del proprio patrimonio culturale, sempre pronta a prendere il mancante al proprio sapere senza niente concedere in cambio.

Pare che tali nozioni, giunte attraverso i secoli, siano le stesse di cui si occupavano i vati etruschi, i quali erano tutti di scuola eleusina, e così i Proto-Eleusini di Ordine Kureta di Rito Cretese, i circoli segretissimi degli Eleusini Orfici, degli Eleusini Samothracensi, degli Eleusini Pitagorici, degli Eleusini di Rito Egiziano, di Rito Romano, etc., nonché la Scuola selettiva degli Eleusini Madre e il Circolo segretissimo dei sacerdoti del Dio Ampu, nel quale furono in tarda età accettati anche alcuni Platonici. Tutti questi avrebbero appreso il Sapere, ovvero la Disciplina Arcaico-Erudita, dai Minoici-Lelegi, ovvero quelle popolazioni pelasgiche sparse nell’Egeo e in Anatolia. Popolazioni che si consideravano eredi degli ultimi Atlantidi.

Se ciò è vero, è comunque sorprendente come queste nozioni, orali e misteriche o contenute in scritti segretissimi, abbiano resistito tanto all’usura dei secoli, tanto più se consideriamo il fatto che a tramandarsele siano stati pochissimi eletti. Si sfiora qui un ordine di idee poco comprensibile ai più».

Chi ben conosce la storia esoterica italiana del XVI°, XVII° e XVIII° secolo dovrebbe sapere quale fu la reale funzione della maggior parte delle numerose accademie culturali, scientifiche e letterarie che a quel tempo fiorirono e si svilupparono in tante città della Penisola. Un’accademia è, per definizione, un’istituzione destinata agli studi più raffinati e all’approfondimento e all’avanzamento delle conoscenze di più alto livello, sia nel settore della ricerca scientifica (Astronomia, Medicina, Scienze Naturali) che nel campo della Filosofia, della Letteratura o delle Arti. L’aura di prestigio associato all’origine del nome di questa tipologia di istituzione, soprattutto a partire dal XV° secolo, spinse molti istituti, in genere costituiti da privati e dietro intervento diretto di importanti personaggi o mecenati, a fregiarsi di tale appellativo. Il termine accademia, infatti, deriva notoriamente dal Greco ed è riconducibile alla celebre Scuola filosofica di Platone, fondata ad Atene nel 387 a.C. e situata in un luogo appena fuori le mura della città, su un terreno donato dall’eroe di guerra Academo. Ma pochi oggi ricordano che – come abbiamo poc’anzi accennato – fu proprio grazie alle accademie che, sul finire del IV° secolo d.C., la maggior parte delle istituzioni religiose e misteriche dell’antichità, perseguitate dal Cristianesimo ormai dominante a Roma e in tutto l’Impero, trovò sicuro rifugio e continuità, entrando in una fase di forzata clandestinità che ne permise la perpetuazione. A partire proprio dalle istituzioni ecclesiali e sacerdotali Eleusine, che si rifugiarono, dal 380 d.C., dopo la chiusura del Santuario Madre di Eleusi, all’interno delle sicure mura dell’Accademia Platonica di Atene, rifondata potremmo dire appositamente per tale fine dal filosofo Plutarco di Atene, che era nipote ed erede dell’ultimo Pritan degli Hierofanti dell’Eleusinità, Nestorio il Grande.

Allo stesso modo e all’interno di simili istituzioni, sopravvissero e si perpetuarono le istituzioni dell’Ordine Pitagorico, i collegi sacerdotali isiaci e del culto di Serapide ed altre importanti realtà iniziatiche del Mediterraneo pre-cristiano.

Marsilio Ficino, Cristoforo Landino e Agnolo Poliziano, tutti e tre iniziati eleusini di Rito Orfico, in un dettaglio dell’affresco di Domenico Ghirlandaio Apparizione dell’angelo a Zaccaria (Firenze, Santa Maria Novella, Cappella Tornabuoni)

La nascita delle accademie “moderne”, a partire da quella voluta a Firenze da Cosimo de’ Medici e Gemisto Pletone e poi guidata dal Ficino (ma potremmo elencarne molte altre) è strettamente collegata allo sviluppo dell’Umanesimo e alla riscoperta dell’antica Filosofia, in particolare quella platonica, oltre che delle più grandi espressioni della civiltà classica. Infatti, le università, per quanto già ampiamente diffuse in molte città italiane, salvo rare eccezioni erano rimaste strettamente legate alla dottrina della Chiesa e improntate sulla limitante e viziata Scolastica aristotelica. È per questo che gli Umanisti (molti dei quali erano innanzitutto degli Inizati) dettero vita a istituzioni alternative dove coltivare il proprio modello di cultura, appunto le accademie. Ma ho anche spiegato come vi sia stato ben altro. Come l’Umanesimo di per sé fu essenzialmente il prodotto di antiche tradizioni misteriche e iniziatiche pre-cristiane sopravvissute come un fiume carsico attraverso i secoli del Medio Evo e riaffacciatesi con vigore sulla scena fin dagli inizi del ‘400, anche molte delle accademie che si svilupparono in Italia dal XV° secolo in avanti, né più né meno di come era avvenuto un millennio prima con le accademie neo-platoniche in Grecia, in Egitto, in Siria e in altre province dell’Impero Romano, furono rifugio e facciata “profana” di quelle stesse tenaci tradizioni iniziatiche. Tanto che, spesso, dietro la “facciata” dello studio della Filosofia, della produzione letteraria o musicale e della ricerca scientifica, all’interno di tali istituzioni, a livelli superiori non immediatamente accessibili ai profani, avevano luogo segreti insegnamenti iniziatici e vere e proprie pratiche iniziatorie e rituali di filoni della Tradizione Misterica Eleusina (sia nella sua espressione “Madre” che in quelle “Figlia”, come la Orfica e la Samotracense), di quella Pitagorica o di quella Ermetica. E questo fenomeno si intensificò maggiormente nella seconda metà del XVI° e nel XVII° secolo, per via della Controriforma e della recrudescenza dell’Inquisizione. Era ormai tramontata la stagione aurea del Rinascimento e la Chiesa aveva ripreso a stringere la propria morsa contro le eresie e contro i propri nemici, sia interni che esterni. Le numerose cerchie di iniziati, soprattutto quelle operanti nei territori nominalmente soggetti allo Stato Pontificio, dovevano muoversi a quel tempo con sempre maggiore circospezione e il ricorso a determinate istituzioni culturali, alcune delle quali godevano della formale protezione di Vescovi e di alti prelati, si rese quantomai necessario.

Pochi sanno, ad esempio, che anche la storica Accademia dei Lincei, tutt’oggi esistente, è sorta nel medesimo contesto di cui stiamo parlando ed è stata fondata da Federico Cesi, Duca di Acquasparta e Gran Maestro dell’Ordine Pitagorico.

Un discorso analogo potrebbe essere affrontato – e lo faremo sicuramente, anche se in altra sede – per la maggior parte delle numerose accademie fiorite sul territorio italiano tra il XV° e il XVI° secolo, non solo quelle di indirizzo marcatamente platonico, ma anche quelle di indirizzo sia scientifico-naturalistico che artistico e letterario, l’Arcadia in primis. Tutte istituzioni che, dietro la facciata profana di cenacoli votati alla cultura, alla letteratura, alla poesia o alle arti, celavano ad un livello superiore precisi percorsi iniziatici di carattere misterico.

Non è questa la sede per affrontare in maniera esaustiva la storia e lo sviluppo di queste accademie, ma vale comunque la pensa spendere alcune osservazioni in merito alle vicende che hanno portato all’ideazione e alla nascita di quella che è stata senz’altro di esse la più celebre e al contempo la più mitizzata: l’Accademia Platonica Fiorentina, una delle più importanti realtà filosofiche ed iniziatiche del Rinascimento.

Come è noto, Marsilio Ficino, nato a Figline nel 1433, figlio del medico personale di Cosimo de’ Medici e di Alessandra di Nannocchio di Montevarchi (ma molto probabilmente in realtà figlio segreto dello stesso Cosimo), è stato uno dei più grandi filosofi ed iniziati del Rinascimento ed uno dei personaggi, nell’entourage dei Medici, che maggiormente hanno contribuito alla riscoperta e alla reinterpretazione del Platonismo e dell’antica misteriosofia. Celebri, del resto, queste sue parole: «Ego sacerdos minimus, ho avuto due padri, Ficinum medicum et Cosmum Medicem. Dal primo io sono nato, dal secondo rinato. Il primo mi affidò a Galeno, medico e platonico, il secondo mi consacrò al divino Platone. Ambedue mi destinarono alla medicina. Se infatti Galeno è medico dei corpi, Platone è il medico delle anime».

Come ha scritto in un suo interessante articolo Paolo Aldo Rossi[6], se la sua data di nascita è il 19 Ottobre 1433, quella della rinascita (ovvero della sua iniziazione) è il 1462. E, in quel fatidico anno, Marsilio ricevette da Cosimo due doni: un prezioso codice platonico ed una villa a Careggi affinché egli potesse dedicarsi con maggior agio alla traduzione di Platone; questi eventi lo destinarono, a suo dire, alla realizzazione di quel sogno che il principe mediceo aveva maturato durante la permanenza dei Greci a Firenze, in occasione del Concilio Ecumenico del 1439, concilio al quale prese parte, in qualità di consigliere laico dell’Imperatore bizantino Giovanni VIII° Paleologo, Giorgio Gemisto Pletone, uno dei massimi filosofi del tempo e Gran Maestro dell’Ordine Pitagorico. Idealmente questa data segna la nascita dell’Accademia Platonica fiorentina, un sodalizio di filosofi-iniziati diretto e coordinato dallo stesso Ficino a nome e per conto della famiglia de’ Medici. E indica anche l’inizio di quella sua fervida stagione di attività ufficiale di traduttore dal Greco, di commentatore della letteratura filosofica platonica e di vero e proprio mistagogo orfico-platonico al servizio della Tradizione e della renovatio della Pia Philosophia.

Fin dai suoi primi studi il giovane Marsilio si era sentito talmente attratto dalla filosofia platonica che Antonino Pierozzi, arcivescovo di Firenze in seguito canonizzato e proclamato da Papa Roncalli patrono della diocesi di Firenze assieme a San Zanobi (in realtà un iniziato pitagorico e un fanatico privo di scrupoli), intervenne a più riprese presso il padre Diotifeci, suggerendogli di mandare il figlio a Bologna a studiare medicina in modo che non progredisse ulteriormente su di un cammino filosofico che l’avrebbe potuto portare all’eresia. Nonostante tali pressioni, il giovane, oltre che nello studio della Medicina a Bologna, venne educato anche agli studi umanistici a Pisa e a Firenze, avendo come primo maestro di Filosofia Nicolò Tignosi da Foligno, un medico aristotelico di chiare simpatie tomiste.  Ma l’interesse di Marsilio s’era subito appuntato dapprima sull’Epicureismo (il suo primo amore è per quel Lucrezio che negli anni della maturità rinnegherà) e quindi, con una passione travolgente che gli avrebbe riempito la vita, sul pensiero del filosofo ateniese che egli avrebbe sempre denominato Plato noster.

Sandro Botticelli: Ritratto di Michele Marullo Tarcaniota, 1497
(Collezione Guardans-Cambó di Barcellona. Esposto in prestito al Museo del Prado, Madrid)

Nel Proemio alle Epitomi, Argomenti, Commenti e Annotazioni in Plotino, dedicato «al Magnanimo Lorenzo de’ Medici, Salvatore della Patria», Ficino testualmente scrisse:

«Il grande Cosimo, per pubblico decreto Padre della Patria, quando si svolgeva a Firenze sotto il pontificato di Eugenio il Concilio per l’unificazione della Chiesa Greca con la Latina, ascoltò spesso le discussioni sui Misteri Platonici di un filosofo greco che di nome si chiamava Gemisto e di soprannome Pletone, quasi fosse un secondo Platone. E a tal segno fu ispirato dall’ardore della sua parola da esserne tratto a vagheggiare nell’alta sua mente un’Accademia che avrebbe realizzato, appena se ne fosse data l’opportunità. Allora, mentre quel grande Medici stava ancora partorendo tale concepimento, destinò me, figlio del suo illustre medico Ficinio, ancora bambino, a tale compito. A questo si dedicava di giorno in giorno. Si assicurò anche che avessi tutti i libri greci, non solo di Platone, ma anche di Plotino».

Una fondamentale testimonianza di prima mano, questa di Marsilio Ficino, che attesta non solo le circostanze e il momento in cui l’Accademia Platonica fiorentina venne concepita, ma anche il fatto che, nelle intenzioni del Pater Patriae Cosimo sarebbe spettato a lui (che nel 1439 era un bambino di appena sei anni!) l’onore e l’onere di dirigerla.

È mia convinzione che la scelta dell’ancora infante Marsilio, da parte di Cosimo con la probabile approvazione di Giorgio Gemisto Pletone, quale futura guida dell’Accademia sia stata tutt’altro che casuale e che sia derivata da un preciso calcolo astrologico. In qualche modo quei due personaggi chiave del Rinascimento dovevano aver visto, nel tema natale del fanciullo, una vita votata alla Conoscenza e alla Sapienza e, di conseguenza, in lui la persona più indicata a rivestire un simile ruolo. E, in effetti, da quel momento in poi, Marsilio per tale futuro compito venne istruito e preparato.

Tornato dal biennio di studi a Bologna (1457-59), ed essendo nel frattempo morto l’arcivescovo Antonino Pierozzi (che a Firenze rappresentava una fazione iniziatica pitagorica fondamentalmente ostile all’Orfismo e al Platonismo medicei), Marsilio potè nuovamente dedicarsi ai suoi temi prediletti, forte anche del fatto che fu lo stesso Cosimo il Vecchio non solo a sgombrargli la strada da ogni impedimento, ma addirittura a favorirlo con tutti i mezzi che un Signore poteva offrire ad un cortigiano-letterato. Come osserva sempre Paolo Aldo Rossi[7], Nel rapporto fra Cosimo e Ficino emergono due figure nuove: quella del “Signore” partecipe in prima persona alla ricerca e sinceramente interessato agli esiti contemplativi della teologia platonica più che a quelli attivi dell’etica e della filosofia politica aristotelico-scolastica, e quella del filosofo-cortigiano cui professionalmente è commesso il compito di intellettuale di regime. Marsilio è protetto dalla censura ecclesiastica, gli sono assicurate ottime condizioni di vita e gli vengono dati larghi mezzi per poter compiere i propri studi e le proprie mansioni. In cambio non gli viene chiesto altro che la fedeltà politica, una adesione pronta e incondizionata alle richieste del mecenate ed una efficienza produttiva tale da garantire un costante prestigio intellettuale alle istituzioni culturali della corte.

Ma quello che Rossi bene non spiega è che i Medici avevano per Firenze non un mero progetto politico, bensì un progetto iniziatico-politico-umanistico-filosofico di ampio respiro e di grande ambizione. Un progetto che doveva, nelle loro intenzioni, trasformare realmente la Città del Giglio in una novella Atene, nel quadro di una Italia rinnovata, in cui sarebbero stati ripristinati anche gli altari degli Dei Immortali.

In ogni caso la passione di Ficino per la Filosofia Platonica e per la misteriosofia Orfico-Eleusina è da ritenersi del tutto sincera e non indotta da convenienze contingenti, così come altrettanto univoca e travolgente lo è quella di Cosimo.

Prima del 1462 Marsilio aveva tradotto, «mihi solo» (“a suo uso personale”, in realtà a esclusivo uso di un ristretto cenacolo iniziatico e assolutamente da non destinare alla pubblicazione), gli inni di Orfeo, di Omero, di Proclo e la Teologia di Esiodo, guarda caso, tra tutta la letteratura classica a quel tempo usufruibile, proprio un insieme di testi fondamentali per la Tradizione Misterica Orfico-Eleusina. E, quando nel 1462 si accinge alla traduzione dell’intera opera platonica, ormai completamente disponibile, accadde un evento destinato a modificare radicalmente una parte non indifferente della storia della cultura occidentale dei due secoli seguenti: la riscoperta del corpus dei testi emetici. In quell’anno il monaco Leonardo da Pistoia, uno dei “messi della luce” che Cosimo aveva inviato in Oriente per recuperare i perduti tesori della letteratura greca, riportò dalla Macedonia una copia del Corpus Hermeticum (un manoscritto contenente i primi quattordici libri di un’opera ormai mitizzata e di cui s’era favoleggiato per tutto il Medio Evo. Cosimo ne restò talmente affascinato che impose a Marsilio di interrompere immediatamente la traduzione platonica e di iniziare subito quella di Ermete: «…mi incaricò di tradurre e commentare prima il Trismegisto e quindi Platone», ricorda il Ficino a Lorenzo il Magnifico nella Dedica del suo Commento a Plotino.

Questa traduzione fu terminata prima dell’Aprile del 1463; tanta rapidità di esecuzione dipese sia dal fatto che Cosimo, ormai molto vecchio, sperava gli fosse concesso il tempo di leggerla, sia perché il traduttore, convinto di aver messo le mani sulla fons et origo della sapienza occidentale, aveva dedicato a questa tutte le sue energie. Nello stesso anno Tommaso Benci verteva in volgare la traduzione latina del Ficino, la quale sarebbe definitivamente uscita a stampa solo nel 1471.

L’Accademia Platonica Fiorentina si realizzò secondo i piani previsti e non solo fu una inconfutabile realtà, ma divenne anche per molti anni un fondamentale punto di riferimento per filosofi, iniziati ed eruditi di altre regioni italiane e di altre nazioni europee, in quanto, per suo tramite, erano stati allacciati proficui rapporti di scambio con simili istituzioni, sia in Italia che all’estero. Eppure, molti moderni storici, già a partire dal XIX° secolo, sono arrivati inconcepibilmente a negarne o a metterne in dubbio l’esistenza. Così, ad esempio, fece lo storico Gustavo Uzielli, che, prima nell’opera La vita e i tempi di Paolo dal Pozzo Toscanelli (1894), e poi nel Giornale d’Erudizione (vol. V, 1897, nn. 15-21), nel saggio Il vero e falso Rinascimento e in altri scritti minori non perse mai occasione di sostenere che «L’Accademia Platonica è una fiaba». Eppure Uzielli, uno storico tutt’altro che digiuno di tematiche esoteriche ed iniziatiche, avrebbe avuto per le mani in quantità elementi tali per affermare l’esatto contrario. E non certo fu il solo, tanto che ancora oggi uno degli sport preferiti di molti accademici frustrati in cerca di visibilità è quello di impallinare l’Accademia Platonica Fiorentina e di negare a spada tratta addirittura che sia mai esistita.

Qui, obiettivamente, si va ben oltre le omissioni o la reticenza storica. Abbiamo evidentemente a che fare con accademici che applicano supinamente ordini di scuderia dettati da oscuri creatori di paradigmi.

In un altro mio saggio di prossima pubblicazione, Da Eleusi a Washington D.C., ho spiegato come, a testimonianza del fatto che nel piano della realtà percepito dalla stragrande maggioranza della popolazione – spesso del tutto ignara dei complessi giochi di potere da sempre in atto per il controllo dei destini del mondo – niente è mai come appare, non è stato infrequente nella Storia che antiche Tradizioni misteriche ed iniziatiche avverse al Cristianesimo si siano infiltrate e abbiano prosperato proprio all’interno della Chiesa. E questo è avvenuto non soltanto negli ordini monastici, naturale rifugio in epoca medioevale per molte realtà iniziatiche anche non cristiane (che nel silenzio dei chiostri, delle celle e, soprattutto, delle biblioteche, poterono trasmettere a lungo indisturbate il proprio retaggio iniziatico e sapientale), ma addirittura nelle più alte gerarchie ecclesiastiche, fino ad arrivare allo stesso Soglio di Pietro.

Questo non deve stupire, perché Santa Romana Chiesa è sempre stata vista da determinate realtà, che essa fin dai suoi albori ha ferocemente perseguitato, come una sorta di grande “contenitore” al cui interno queste potevano segretamente operare decisamente meglio e in maggiore sicurezza che in maniera palese e al di fuori di essa. Potremmo citare numerosi casi a riguardo, dai segreti circoli degli Eleusini Orfici all’interno dell’Ordine dei Camaldolesi, e in particolare nella loro “succursale” fiorentina di Santa Maria degli Angeli, fino a quelli degli Eleusini Pitagorici all’interno del celebre monastero di Saint Dié des Vosges, dove nel 1507 grandi Iniziati come Martin Waldseemüller e Matthias Ringmann decisero di rendere pubblica una fondamentale verità sulla “scoperta” del Nuovo Continente. Ma questa è un’altra storia…, sulla quale torneremo nei contesti opportuni.

A partire dal IV° secolo d.C., e soprattutto dopo la promulgazione nel 380, da parte di Teodosio e di Graziano, del famigerato Editto di Tessalonica che imponeva il Cristianesimo quale unica religione, vietando di fatto a tutte le altre di continuare ad esistere, buona parte del mondo allora conosciuto si apprestava a cadere in un’assolutamente inedita morsa di pensiero unico, esclusivo ed ottenebrante, e a scivolare sotto una pesante cappa di intolleranza e di persecuzioni. Da Teodosio in poi, tutto ciò che era riconducibile alla religiosità ed alla spiritualità tradizionali, dalle opere d’arte all’architettura sacra, dalla Filosofia alla letteratura, fino alle semplici espressioni della antica religiosità popolare, venne spregiativamente bollato come “pagano” e di fatto vietato, distrutto, sottoposto a censure e a damnatio memoriae.

Come già abbiamo accennato, con lo scatenarsi, da Costantino in avanti, delle persecuzioni cristiane nei confronti di tutti i culti tradizionali dell’Impero Romano, con i roghi delle biblioteche e l’abbattimento dei sacri Templi, la perdita del patrimonio culturale e religioso della classicità greco-romana fu veramente immensa, incalcolabile, ed è stato stimato che sopravvisse e si sia conservata soltanto una minima parte della letteratura antica, inclusa quella di carattere scientifico e religioso.

Le istituzioni ecclesiali eleusine e le relative scuole misteriche – detentrici e portatrici non solo di una Tradizione spirituale antichissima, ma anche di una visione nettamente matriarcale della società e della più genuina espressione del “Femminino Sacro” –, dopo la chiusura, nel 380 d.C., del Santuario Madre di Eleusi da parte dell’ultimo Pritan degli Hierofanti ufficialmente in carica, Nestorio il Grande, si trasferirono di fatto all’interno dell’Accademia Platonica di Atene, fondata proprio in contemporanea con la chisura del Santuario dal filosofo neoplatonico Plutarco di Atene, che era nipote di Nestorio e dal quale aveva ereditato sia le conoscenze che il titolo sacrale. L’istituzione accademica ateniese rappresentò quindi per gli Eleusini e per le loro scuole misteriche un porto sicuro quantomeno fino al tempo di Giustiniano, e quando, per decreto di quest’ultimo, l’Accademia venne formalmente soppressa, già erano pronte sicure protezioni e sedi alternative.

Un percorso simile venne intrapreso anche dall’Ordine Pitagorico, anche se esso si era già da tempo allontanato per motivi politici e dottrinali dall’Eleusinità Madre, non riconoscendo più da alcuni secoli l’autorità superiore di Eleusi. Il grande Iniziato francese Jean Marie Ragon, vissuto a cavallo fra il XVIII° e il XIX° secolo, che oltre ad essere un Libero Muratore fu anche un Eleusino, ci ha lasciato un’approfondita documentazione riguardo alla sopravvivenza di tale Ordine, dai tempi di Giustiniano (VI° secolo) fino al XIX° secolo, attraverso tutto l’arco del Medio Evo, del Rinascimento e dell’Età Moderna.

Alcune di queste realtà entrarono in clandestinità addirittura in maniera concordata con la stessa Chiesa. Questo non deve affatto sorprendere, perché a quei Vescovi che di fatto, dopo l’Editto di Tessalonica e i suoi decreti attuativi, gestivano a pieno titolo le redini e le sorti dell’Impero interessava a quel punto presentarsi agli occhi delle masse come assoluti trionfatori sul “paganesimo” per potersi poi dedicare al consolidamento del proprio potere e alla lotta contro le proprie numerose “eresie” interne. E, naturalmente, anche e soprattutto a quello che era uno dei loro primari obiettivi: la lotta contro il Cristianesimo giovannita, che il “Paolismo” aveva di fatto usurpato, e che continuava in maniera carsica a prosperare in molte regioni d’Europa e del Vicino Oriente, sotto l’ala protettrice di importanti famiglie di potere che avrebbero assunto decisamente un ruolo di primo piano nei secoli successivi, portando al consolidarsi del potere cataro nel Sud della Francia e alla nascita dell’Ordine dei Templari. Concordare quindi con gli Eleusini, con i Pitagorici e con altre realtà iniziatiche e misteriche un tacito e sicuro ingresso in clandestinità in cambio di una resa “formale” rappresentava a quel tempo per la Chiesa una sorta di exit strategy da una situazione di impasse senza più concreti sbocchi. Certe realtà, infatti, erano troppo consolidate, potenti e ramificate e ancora per certi versi tutelate da importanti frange del potere politico (in particolare nel Senato) per essere cancellate da un semplice editto imperiale, per quanto più volte reiterato. Scendendo a patti con esse, la Chiesa salvò di fatto il proprio potere e al contempo si trovò le mani libere per affrontare altri “nemici”.

Certi accordi segreti non implicarono però una totale cessazione delle persecuzioni e gli adepti degli Ordini Eleusini, Orfici, Pitagorici e Isiaci dovettero guardarsi doppiamente le spalle e intensificare le precauzioni e le misure di sicurezza per sopravvivere a congiure, omicidi mirati o facili accuse di “eresia”. Gli accordi a cui mi riferisco garantivano a tali realtà un’ampia libertà e autonomia all’interno di Accademie fondate ad hoc, in cambio di una formale chiusura dei Templi e di una loro scomparsa dalla scena pubblica, ma si trattava comunque di accordi non scritti e che spesso sia la Chiesa che le autorità imperiali disattendevano con vari pretesti, generando pesanti tensioni e ritorsioni.

Molte di tali realtà iniziatiche, paradossalmente (ma non più di tanto), soprattutto in età carolingia, si infiltrarono nella stessa Chiesa, prendendo atto di quanto fosse più facile e agevole sopravvivere e perpetuare segretamente le proprie tradizioni e le proprie idee all’interno di essa piuttosto che al di fuori. E lo fecero prediligendo in maniera strategica – come già abbiamo accennato – alcuni ordini monastici, dove avrebbero avuto accesso alle biblioteche (cosa non da poco in quei secoli oscuri) e dove crearono numerosi circoli segreti che si consolidarono con il tempo, divenendo delle vere e proprie “cabine di regia” di vicende politiche.

La Chiesa comunque non tardò a restringere le proprie maglie e a operare con decisione nei confronti di tutto ciò che poteva mettere in discussione il proprio potere, in particolar modo quello temporale. Ne andava, del resto, della sua stessa sopravvivenza, in quanto si trovava ormai da tempo sotto il fuoco incrociato di tenaci tradizioni misteriche che bramavano rovesciarla, consumando così la loro secolare vendetta, e di un sempre più potente Cristianesimo giovannita che, sotto l’impulso dell’ormai potentissimo Ordine dei Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis (meglio noti come Cavalieri Templari), mirava a fare altrettanto. Si arrivò così, nel 1198, da parte del Pontefice Innocenzo III°, all’istituzione in Francia (dove la minaccia catara si stava facendo ormai insostenibile) di uno speciale tribunale ecclesiastico il cui scopo dichiarato era quello di combattere – e soprattutto sopprimere – tutto ciò che il Vaticano considerava, tanto genericamente quanto indiscriminatamente, “eresia”. Nacque così formalmente quella tristemente passata alla storia come Santa Inquisizione, una realtà che si estese progressivamente a tutta Europa ad opera di Papa Gregorio IX°, con l’istituzione di inquisitori permanenti e territoriali, scelti e selezionati all’interno degli ordini dei Francescani e dei Domenicani, gli unici dei quali le gerarchie ecclesiastiche ancora si fidavano.

Agnolo Bronzino: Ritratto di Cosimo I° De’ Medici nelle vesti di Orfeo, 1539
(Philadelphia, Philadelphia Museum of Art)

Le Tradizioni misteriche ed iniziatiche dell’antichità sopravvissute alle persecuzioni cristiane ed entrate in clandestinità verso la fine del IV° secolo d.C., nel corso del Medio Evo e nel Rinascimento, quando decisero a più riprese di riemergere, furono costrette a farlo nell’ambito di una società ormai fortemente cristianizzata e dominata dal pensiero unico imposto dal Papato. Determinate affermazioni di identità e di appartenenza, soprattutto se espresse nelle opere d’arte e nelle architetture, costituivano dei precisi messaggi rivolti da iniziati ad altri iniziati – vale a dire a chi possedeva le corrette chiavi di lettura per comprenderli e recepirli – e dovevano quindi necessariamente essere dissimulate con particolari simbologie ed allegorie. Non c’era molto da scherzare a riguardo, perché determinate affermazioni potevano costantemente mettere a repentaglio la vita stessa sia degli esecutori che dei committenti. Era estremamente facile, infatti, incappare nelle maglie della Chiesa e dell’Inquisizione, che era di fatto già operativa a partire dal 1184, con l’emanazione della bolla Ad Abolendam Diversarum Haeresum Pravitatem da parte di Papa Lucio III°.

Non dimentichiamoci di quanto venne perseguitato dalla Chiesa il Signore di Rimini Sigismondo Pandolfo Malatesta, per aver ostentato oltre il “consentito” la sua appartenenza iniziatica Eleusino-Pitagorica e per aver fatto realizzare, da un altro grande iniziato come Leon Battista Alberti, il Tempio Malatestiano, il primo Tempio “pagano” edificato dopo oltre un millennio dai Decreti Teodosiani, e per di più sulle fondamenta di una chiesa cristiana! Per non parlare, poi, della sorte toccata a Giordano Bruno e delle plurime carcerazioni di un altro grande iniziato come Tommaso Campanella!

Come ho precisato più volte, nei miei scritti raramente compare il termine “pagano” e nei rari casi in cui mi capita di usarlo lo riporto sempre tra virgolette. Si tratta, infatti, di un termine che non amo e non uso volentieri, poiché nasce, da parte cristiana, con l’intento meramente dispregiativo di screditare e denigrare tutto un mondo religioso ed un insieme di Tradizioni Misteriche e spirituali plurimillenarie che il nuovo culto tentò, con un’intolleranza e una violenza del tutto estranee all’antico sistema di valori dell’area mediterranea, di distruggere e di estirpare.

Nel Medio Evo e nel Rinascimento era molto più facile per la Chiesa combattere le proprie numerose eresie interne e dare la caccia a povere donne indifese accusate di “stregoneria” piuttosto che attaccare frontalmente antiche Tradizioni religiose e iniziatiche che “ufficialmente” essa aveva sconfitto e debellato già alla fine del IV° secolo. Per di più, alcune di queste Tradizioni erano entrate in clandestinità con il tacito assenso della stessa Chiesa, se non sulla base di precisi accordi segreti. Ciò che più contava per la Cattedra di Pietro era il dimostrare agli occhi delle masse di aver vinto, di aver pubblicamente sconfitto e debellato i propri avversari (gli altri culti che essa iniziò a combattere già dal tempo di Costantino) e di aver imposto la propria trionfante monolatria patriarcale. E con alcuni di questi avversari che non era riuscita né mai sarebbe riuscita a sconfiggere, fu costretta a scendere a patti: essi poterono entrare tacitamente in una indisturbata clandestinità, a patto che non facessero troppo rumore, che non dessero troppo nell’occhio, che non disturbassero la “Pax Cristiana”, il nuovo ordine costituito. Imbastire pubblici processi inquisitori contro realtà religiose e iniziatiche non cristiane che la Chiesa aveva “formalmente” già sconfitto, sarebbe stata per il Cristianesimo una impensabile prova di debolezza. Essa si limitava, quindi, a monitorare certe realtà mediante proprie spie e infiltrati, senza rendersi conto che da secoli stava avvenendo l’esatto opposto: erano gli ordini misterici che si infiltravano nella Chiesa, fino alle più alte gerarchie del clero, arrivando a controllare intere diocesi e a lasciare la propria impronta addirittura sull’architettura degli edifici sacri, sulle abbazie, sulle cattedrali e su moltissime opere pittoriche e scultoree di arte sacra. La prudenza e la circospezione erano comunque d’obbligo e gli iniziati Eleusini, Orfici, Pitagorici, Isiaci e i seguaci dell’Ermetismo ricorrevano continuamente alla dissimulazione, all’allegoria, alle simbologie occulte, inserendo ad hoc nelle proprie creazioni letterarie, artistiche e architettoniche duplici significati destinati a due diverse chiavi di lettura: una profana, immediata, palese, destinata al volgo, e una iniziatica, recondita, occultata, destinata esclusivamente a chi era in grado di recepire il linguaggio segreto dei simboli.

Ci si servì sovente, quindi, della raffigurazione della Vergine Maria per simboleggiare in realtà la Dea Titana Demetra, anche nelle sue accezioni di “Madre Terra” e di emblema universale del Femminino Sacro (né più né meno di come fecero i Catari e i Templari, che sotto le sembianze iconografiche della “Madre di Cristo” raffiguravano e veneravano in realtà la Maddalena). E, sulla base di una certa pratica sincretistica già avviata del resto sin dalla tarda antichità, non era raro che, sotto le sembianze della Madonna si volesse rappresentare in opere pittoriche e scultoree una Divinità femminile che rivestisse simultaneamente le caratteristiche non solo di Demetra, ma anche di sua figlia Kore-Persefone, di Leto/Latona, di Artemide, di Venere-Afrodite o dell’egizia Iside.

La perpetuazione e tramandazione della Tradizione Misterica attraverso il Medio Evo ed il Rinascimento non fu comunque sempre un percorso lineare e privo di ostacoli. Sarebbe, del resto, ingenuo ed utopistico il solo pensarlo. Se esso fu, in un certo qual modo, piuttosto organico e diretto nell’ambito dei due principali filoni di trasmissione, quello Eleusino Madre e quello Pitagorico, anche in buona parte nel contesto di essi, ma soprattutto nel contesto di filoni “minori” o da essi derivati, tale percorso assunse spesso le caratteristiche di un immenso mosaico frammentato, le cui tessere non sono state mai, né dagli storici profani (la maggior parte dei quali neanche comprenderebbe di cosa stiamo parlando), né tantomeno dagli esponenti delle singole realtà iniziatiche, ricollocate nella loro corretta visione d’insieme. È attestato, altresì, che molti filoni “minori” (un termine, questo, senz’altro improprio, ma necessario ai fini della comprensione) fino ad oggi sopravvissuti si siano gelosamente chiusi in sé stessi, gelosi custodi dei loro stralci di verità, dei loro frammenti delle colonne del Tempio (mi si passi la metafora latomistica) e delle loro parziali fonti, rifuggendo con ostinazione e determinazione ogni contatto ed ogni confronto con realtà ad essi sorelle.

Mentre chi scrive possiede buona parte delle tessere del mosaico inerenti alla tramandazione e perpetuazione della propria specifica tradizione iniziatica, quella Eleusina di Rito Madre, riconosco in tutta umiltà, nonostante decenni di studi e di ricerche, di non possedere che alcune e frammentarie tessere riguardo al percorso carsico attraverso il quale sono giunte fino ai nostri tempi i Riti “Figlia” dell’Eleusinità, in primis il Samotracense e l’Orfico. E lo stesso discorso vale per realtà che, pur appartenendo alla Tradizione e al filone di trasmissione dell’Eleusinità Madre, sono state separate dalla diaspora ed hanno proseguito in isolamento il loro percorso.

Per meglio comprendere il significato recondito ed il ruolo squisitamente iniziatico della maggior parte delle Accademie “platoniche” che sorsero e prosperarono in Italia tra il XV° secolo e l’avvento della Controriforma occorre prima focalizzare l’attenzione su alcuni fondamentali aspetti del Platonismo. Per Platone il grado più basso della Conoscenza era l’eikasía (la congettura, l’apparenza), cui seguiva la pistis (la credenza): entrambe i gradi, nella concezione platonica appartengono agli individui non discriminanti sotto il profilo logico, non intuitivi e dominati essenzialmente dai sensi e dalla doxa (l’opinione). Per uscire dal mondo dell’opinione (sempre mutevole e, come dice la parola stessa, opinabile), occorre ascendere a quello dell’epistéme (la scienza, la conoscenza).

Platone, nel suo Simposio scrive che sarebbe davvero bello se la Sapienza fosse in grado di scorrere dal più pieno al più vuoto di noi, quando ci mettiamo in contatto l’uno con l’altro, come l’acqua che scorre nelle coppe attraverso un filo di lana da quella più piena a quella più vuota. Ma il grande Filosofo ateniese ben sapeva che purtroppo non è così. La Sapienza, infatti, non si trasmette fra gli esseri umani come un fluido. Al pari di una Iniziazione, l’apprendimento sapientale è un’esperienza personale che si può solo vivere e non è possibile travasarla bella e pronta, meccanicamente, da un individuo ad un altro. Come ha giustamente osservato Moreno Neri in un suo articolo, occorrono una grande motivazione interiore, lo sforzo individuale unito a una inesauribile passione per il dialogo tra persona e persona, e l’avvio di una comunicazione maieutica attraverso il serrato metodo dialettico insegnatoci dai più grandi Filosofi che, come ho spiegato nel mio saggio Nei penetrali del Tempio: il rapporto tra Tradizione Misterica e Filosofia, erano anche e soprattutto dei grandi iniziati. Ma se uno non è “gravido”, vale a dire se è spiritualmente vuoto? Se nella peggiore distorsione e nella banalizzazione più infima manca qualsiasi brandello di onestà intellettuale o esistenziale, se non si trova un frammento di domanda, se non si scorge un briciolo di problematicità o di curiosità, anche far emergere dall’anima dell’interlocutore qualcosa di vitale risulta un’impresa impossibile.

Platone e Aristotele in un dettaglio dell’affresco di Raffaello Sanzio La Scuola di Atene, 1511
(Vaticano, Palazzi Apostolici, Stanza della Segnatura)

Un grande iniziato dell’antichità, Socrate, considerato non a torto il padre della Maieutica, non a caso chiamò in tal modo questa sua tecnica. In Greco antico, μαιευτική (maieutiké) significa “ostetricia”, “arte ostetrica”, e il termine deriva direttamente da μαῖα, “mamma”, “levatrice”. Si tratta di un metodo, di un approccio, che, ben lungi dall’avere la pretesa di immettere nell’animo umano alcuna verità, intende altresì “estrarla”. Platone, infatti, nel Teeteto, afferma esplicitamente che Socrate si sarebbe comportato come una levatrice, aiutando gli altri a “partorire” la verità.

Socrate, nei dialoghi platonici, parla quindi di Maieutica proprio perché la sua tecnica è un’opera analoga a quella dell’ostetrica. Egli non lancia programmi di redenzione e non pretende di trascinarsi torme di seguaci, perché è consapevole che la Conoscenza può solo sgorgare dalla propria anima. La Maieutica, quindi, attraverso la dialogica e la dialettica, si limita ad orientare il pensiero dell’interlocutore verso la verità, e rappresenta uno dei punti cardine dell’apprendimento iniziatico dell’antichità, e della Tradizione Misterica Eleusina in particolare.

Era questo il cuore dell’insegnamento che Platone applicava nella sua Accademia. Un insegnamento di cui i più grandi protagonisti del Rinascimento, molti dei quali erano iniziati di scuola eleusina o pitagorica, seppero sicuramente far tesoro, come hanno ampiamente dimostrato nei loro trattati e nelle loro opere immortali.

[1] Roberto Sestito: Storia del Rito Filosofico Italiano e dell’Ordine Orientale Antico e Primitivo di Memphis e Mizraìm. Ed. Libreria Chiari, Firenze 2003.

[2] Roberto Sestito: Opera citata.

[3] Ibidem.

[4] Giustiniano Lebano: Il senato Occulto di Roma, in Ignis, Anno V°, n. 2, Dicembre 1992.

[5] Roberto Sestito: Opera citata.

[6] Paolo Aldo Rossi: Marsilio Ficino: dalla cristianizzazione della magia alla magicizzazione del Cristianesimo. Articolo sul sito https://aispes.net.

[7] Ibidem.